di Angelo Alfani
Per un quinquennio mi sono preso l’onere di pubblicare le statistiche sui visitatori della Banditaccia e del Museo. Poi, per non passare come messaggero di notizie nefaste o essere ricordato come il dottor Colavolpe dispensatore di dosi di olio di fegato di merluzzo, ho mollato lì, lasciando ad altri l’incombenza.
Niente invero è più avvilente della puntualità delle cose scontate.
Vediamo cosa ci hanno riservato le statistiche.
Dopo due anni di sensibile calo ci si vede costretti a registrare un’ulteriore flessione, anche se di poche centinaia di capocce. Appena 72.401 i visitatori dell’anno appena trascorso. Erano stati 85.586 nel 2014, mentre nel 1983 erano abbondantemente al di sopra dei 130.000. In poco più di un trentennio, mentre tutti i siti archeologici ed aree museali aumentavano a dismisura le presenze, noi ce ne siamo pappate la metà. Mughini, lo sfegatato juventino, avrebbe gridato:” Orrrrrore!”.
Inutile ricordare quanto sia diversa la situazione della cugina Tarquinia ed altrettanto inutile rammentare che la tutela delle opere d’arte, dei centri storici e del paesaggio ha in Italia radici profondissime, plurisecolari. Eppure questa indubitabile verità non arreca alcuna positività in terra cervetrana.
Antonio Cederna, il padre dell’ambientalismo, scrive più volte sulle disgrazie nel territorio cervetrano e delle conseguenze sul bene archeologico, fin dai primi anni ottanta.
In un accorato articolo uscito sull’Espresso, dopo aver ricordato, come prassi abituale, i saccheggi dei clandestini, così prosegue: “Cerveteri cittadina etrusca di diciottomila abitanti. Una Necropoli coi suoi novecento e passa monumenti sepolcrali, tutti tagliati e costruiti nel tufo… Ma di questa straordinaria risorsa, fonte di prosperità, l’odierna Cerveteri non sembra sapere che fare. Eppure stiamo parlando del più grande parco archeologico d’Italia, una proprietà demaniale di circa trecentocinquanta ettari, più di tre volte l’estensione di Pompei. Mentre procede la manomissione ambientale, lo sconvolgimento del territorio agricolo ed archeologico, la degradazione del Centro storico.
Col solito miope miraggio dei posti di lavoro è stata decisa la costruzione di una area “artigianale” (a ridosso della squallida lottizzazione di Campo di Mare e lo smisurato agglomerato di seconde case di Cerenova, una delle peggiori lottizzazioni costiere d’Italia) sacrificando un terreno di circa trenta ettari di alto valore agricolo..Un regalo alla speculazione, oltre che devastazione ambientale degli ultimi residui della campagna romana,tipici della Maremma inferiore”.
Sembra dire Cederna: la ricchezza infinita che il buon Dio ci ha elargito e gli antenati Etruschi lasciata in eredità, viene azzerata da miserevoli interessi che non vanno al di là di una mezza generazione.
Scrive il geniale Mario Praz nel suo Il mondo che ho visto: Le rovine dicono una parola definitiva, sillabano un epitaffio su quella tomba dei secoli che esse sono. Questo particolare senso di impotenza, di irrimediabilità dei destini umani, lo possono comunicare solo le rovine delle metropoli antiche del deserto. Non più Roma perché la vita della città stringe cosi dappresso le rovine della capitale, che esse sono rimaste del tutto prive di quella che è la mesta musica del passato, la solitudine, la sfera del silenzio” L’accerchiamento all’eterna bellezza si fa sempre più stringente, ed il prevalere dell’eterna bruttezza compie passi da gigante.
Non sarebbe il caso che la nostra diletta figlia fosse gestita da riconosciuti professionisti e non da improvvisatori inadeguati?