Le motivazioni del voto alla luce del risultato elettorale che ha visto vittoriosi gli stessi partiti che erano da prima in carica.
di Antonio Calicchio
Elezioni – Le percentuali di affermazione dei – futuri – presidenti delle regioni (nell’ordine: Veneto, Campania, Liguria, Toscana e Puglia) variano ed oscillano dal 76% al 47%. Ma un dato emerge con immediatezza, di cui nessuno si è avveduto o che, comunque, nessuno ha fatto rilevare, e cioè che in Liguria o Veneto, Campania, Puglia o Toscana le elezioni sonostate sempre vinte dai medesimi partiti che erano da prima in carica. Tranne le Marche. Dato, questo, che esprime incontestabilmente la volontà – chiara e forte – del corpo elettorale chiamato alle urne nei giorni scorsi. Tuttavia, oltre ai meriti, acquisiti antropologicamente sul campo, da Zaia e da De Luca, nonché a quelli – minori o maggiori che siano – degli altri candidati risultati vincitori, pare che una tale decisa e precisa uniformità, quasi scientifica, non possa scaturire solamente da risultati pregressi. Ed infatti, un ulteriore elemento ha concorso a far pendere la bilancia da un lato e non dall’altro, vale a dire “l’angoscia”. Nel senso che quest’ultima ha svolto una funzione cruciale nelle elezioni regionali in questione e – probabilmente – pure nella vittoria del “sì” al referendum, rinforzando il governo in carica.
Perché? Perché l’angoscia rappresenta un sentimento “conservatore”. Come ha indicato Hobbes, costituisce l’altra faccia della rassicurazione. E’ come dire che, quanto più si prova angoscia, tanto più si cerca autorità, si diffida della novità, ci si rifugia nell’ “usato sicuro”. L’angoscia dipende da una condizione ancestrale. Riproduce la reazione del bambino che, onde poter stare al mondo, si ritrova a dover risolvere il problema di ridurre l’angoscia dell’imprevisto e dell’imprevedibile. Trattasi – come segnalato – di una angoscia che l’umanità conosce dacché è comparsa sulla terra e che ha tentato continuamente di contenere: dapprima, coi “riti” che assicuravano una qual certa regolarità di comportamenti; poi, coi “miti” che narravano di modelli di condotta tali da prevedere quali avrebbero determinato un buon esito e quali meno; ed infine, con la “ragione” la quale, prima ancora di essere un prodotto logico, è una difesa dall’angoscia dell’imprevisto e dell’imprevedibile da cui nessuna strategia, salvo quella razionale, inaugurata dal pensiero filosofico, è capace di tutelarci.
E, nel caso di specie, l’angoscia proviene dal Covid e dal clima di insicurezza in cui tutti ci siamo ritrovati. Con la conseguenza che gli elettori, spaesati e incerti, utilizzano la scheda elettorale per consolidare l’autorità in carica, da quella del Governo Regionale a quella del Governo Nazionale.
Elezioni e il fattore angoscia
Quando detto, risulta consciamente noto e chiaro a tutti. Ma, sul punto, occorreevidenziare un fattore di merito e uno di metodo: sotto il profilo del merito, le disquisizioni su “Se Salvini avesse detto”, “Se Zingaretti non fosse stato paziente”, etc., si mostrano assolutamente irrilevanti. Sotto il profilo del metodo, da anni quelli che parlano di principi e di ideali sono accusati di rivolgersi al cervello dei cittadini, mentre ciò che avviene nell’urna concerne più la pancia e meno il cervello dei votanti. Può essere. Però, l’angoscia è un sentimento primordiale che attiene proprio alle viscere, alla pancia di cui si diceva. E, dunque, si è dislocato il centro della ricerca dal cervello alla pancia. Tuttavia, ciò non significa che la riflessione critica in ordine ai principi non serva, ma vuol dire soltanto che ogni questione va situata nello spazio logico che le compete. Forse, non in questo caso, ma talvolta l’angoscia è cattiva consigliera, di cui è necessario correggere gli impulsi che ne discendono. I “moventi” ultimi che ispirano la condotta umana rispondono, di frequente, ad emozioni semplici e ataviche. La teoria è utile per cercare di capirle e criticarle al lumedella ragione. O, quantomeno, è legittimo sperare così.