L’ARTE  DEI MURETTI A SECCO  PATRIMONIO MONDIALE DELL’ UMANITÀ  UNESCO

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di Arnaldo Gioacchini *

“L’arte dei muretti a secco” è stata iscritta dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

Sono stati otto i Paesi europei che avevano presentato la candidatura oltre all’Italia, la Croazia, Cipro, la Francia, la Grecia, la Slovenia,la Spagna e la Svizzera. Era sicuramente una candidatura “forte” di una realtà molto diffusa (da tanti secoli) nelle Nazioni suddette ma non solo, infatti riscontri molto importanti del “Dry stone walling” (in inglese) vi sono pure in varie territorialità mondiali indipendentemente dai confini, dalle latitudini e dalle longitudini legate alla loro presenza. Dice l’UNESCO che il riconoscimento internazionale e la relativa tutela di ciò riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra secca e precisa ancor meglio nelle motivazioni: “Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo” in cui viene utilizzata. “I muri a secco svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine,delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”. Sempre nelle motivazioni del provvedimento l’UNESCO specifica ciò che concerne il nostro Paese: “Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all’agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese”. La tredicesima sessione del Comitato Intergovernativo (è formato da 24 membri eletti dall’Assemblea Generale della Convenzione del 2003, all’interno del quale non c’è nessun italiano – ndr) per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale si è svolta a Port Louis capitale della  Repubblica di Mauritius ( come è noto siamo in pieno Oceano Indiano), da lunedì 26 novembre a sabato 1 ° dicembre 2018, presso il noto SVICC (Centro Internazionale di Congressi Swami Vivekananda). Tutta la “sei giorni” del Committee  è stata presieduta dal Ministro delle Arti e della Cultura della Repubblica di Mauritius  mister Prithvirajsing Roopun. Va detto anche che nella penisola italiana sono nate, da alcuni anni, delle vere e proprie scuole per imparare a creare “ i muretti a secco” e là dove già esistono come ripararli nella maniera dovuta al fine di mantenerli sempre in buon stato di efficienza e funzionalità. È da ricordare come l’Italia già possiede altre interessantissime Realtà inserite nella suddetta Lista (fra parentesi l’anno dell’Attestazione UNESCO): “I Pupi Siciliani” (2001), “I Canti a Tenore Sardi” (2005), “La Dieta Mediterranea” (2010), “Il Saper Fare Liutario di Cremona” (2012), “Le Grandi Macchine a  Spalla”(i Gigli di Nola, la Varia di Palmi, i Candelieri di Sassari e la Macchina di Santa Rosa di Viterbo) iscritte nel 2013,  “La Pratica agricola tradizionale delle viti ad alberello di Pantelleria” (2014), “La Falconeria un patrimonio umano vivente” (2016) e “L’Arte della Pizza alla Napoletana”(2017). A livello politico si registra una dichiarazione del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio: “ Ancora una volta i valori dell’agricoltura sono riconosciuti come parte integrante del patrimonio culturale dei popoli”. Aggiungendo: “Il nostro Paese si fonda sull’identità, i nostri prodotti agroalimentari, i nostri paesaggi, le nostre tradizioni e il nostro saper fare sono elementi caratterizzanti della nostra Storia e della nostra cultura. Non è un caso quindi che, dei nove Elementi italiani riconosciuti dall’UNESCO Patrimonio Immateriale dell’Umanità, ben quattro appartengano al patrimonio rurale e agroalimentare”. “Un risultato (sottolinea il ministro) che conferma l’importanza di questo comparto nel nostro Paese e quanto sia fondamentale, come Governo e come cittadini, non dimenticare mai le nostre radici. Ecco perché è necessario continuare a investire nella promozione e nella valorizzazione, anche a livello internazionale, delle nostre produzioni agroalimentari e dei nostri territori”. A livello tecnico piuttosto rilevante è quanto detto dalla Coldiretti: “Un giusto riconoscimento ad una tradizione che in Italia unisce da nord a sud la Valtellina e la Costiera amalfitana, Pantelleria con le Cinque terre e in Puglia il Salento e la Valle d’Itria, realizzata e conservata nel tempo grazie al lavoro di generazioni di agricoltori impegnati nella lotta al dissesto idrogeologico provocato da frane,alluvioni o valanghe”. Prosegue sempre la Coldiretti (ai cui rappresentati non manca certo l’esperienza in proposito): “La tecnica del muretto a secco riguarda la realizzazione di costruzioni con pietre posate una sull’altra senza l’utilizzo di altri materiali se non un po’ di terra. La stabilità delle strutture è assicurata dall’attenta selezione e posizionamento dei sassi”. E conclude l’importante organismo di rappresentanza dei coltivatori diretti: “Questi manufatti, diffusi per la maggior parte nelle aree rurali e su terreni scoscesi, hanno modellato numerosi paesaggi, influenzando modalità di agricoltura e allevamento, con radici che affondano nelle prime comunità umane della preistoria. I muretti a secco svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle frane, delle inondazioni e delle valanghe e nella lotta all’erosione e alla desertificazione della terra, aumentando la biodiversità e creando condizioni microclimatiche adeguate per l’agricoltura in un rapporto armonioso tra uomo e natura”. Vi è pure un altro interessantissimo (culturalmente parlando) Registro dell’UNESCO ove l’Italia è ben presente ed è quello delle “Memorie del mondo” ove l’elenco dei Beni Italiani finora iscritti nel Registro del programma è il seguente:  Archivio Storico Diocesano di Lucca; Biblioteca Malatestiana di Cesena;Collezione della Biblioteca Corviniana (transnazionale con  Austria, Belgio, Francia, Germania, Ungheria); Archivio storico dell’Istituto LUCE; Codex Purpureus Rossaniensis; Collezione dei calendari lunari di Barbanera; Opera di Frate Bernardino de Sahagun (1499-1590) (transnazionale con Messico capofila e Spagna) – Codice Fiorentino presso la Biblioteca Medicea Laurenziana; Antonio Carlos Gomes  – grande compositore di musica brasiliano dell’800  che fu il primo musicista del Nuovo Mondo accettato in Europa e l’unico compositore di opere non europeo che ebbe successo come autore in Italia – ndr  (Memoria transnazionale con il Brasile capofila). Ma l’Italia è prima assoluta al mondo (continuativamente da 14 anni! – ndr) nella Realtà più nota ed importante vaticinata dall’UNESCO che è quella dei Siti Patrimonio Mondiale dell’ Umanità iscritti nella World Heritage List ove conta 54 Siti seguita dalla Cina (53).  Addirittura nel territorio della nostra Penisola ve ne sarebbe un 55° in San Marino ed il Monte Titano che però l’UNESCO,rispettandone la sua particolare legislatura e valenza di Repubblica autonoma, considera, in toto, come riconosciuto dalla sua “casa madre” ONU, un stato estero seppure completamente inserito nella geomorfologia della penisola italiana. Insieme a “L’arte dei muretti a secco” il Comitato dell’UNESCO ha inserito nella speciale Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità anche la “Musica Reggae”, i cui ritmi hanno trovato fama mondiale grazie soprattutto a Bob Marley. L’UNESCO ha infatti aggiunto il genere musicale originario della Giamaica alla sua Lista di Patrimoni Mondiali Immateriali dell’Umanità ritenendo quindi la musica reggae degna di protezione e promozione. Questa la motivazione dell’Agenzia ONU: “Il suo contribuito al dibattito internazionale su ingiustizia, resistenza, amore e umanità sottolinea le dinamiche che lo rendono contemporaneamente cerebrale, socio-politico, sensuale e spirituale. Originato all’interno di uno spazio culturale che era abitato da gruppi marginalizzati, principalmente nella parte ovest di Kingston, la musica Reggae della Giamaica è una amalgama di numerose influenze musicali incluse le prime forme musicali del Paese, così come quelle caraibiche, nord americane e latine. Col tempo, gli stili neo-africani, il soul e il rhythm and blues del Nord America furono incorporati nel nuovo elemento, trasformando gradualmente lo Ska nel Rock Steady e quindi nel Reggae. Mentre nel suo stato embrionale la musica Reggae era la voce dei marginalizzati, questa musica è ora suonata e abbracciata da un’ampia e trasversale fetta della società, inclusi gruppi di vario genere, etnia e religione. Le funzioni sociali di base di questa musica – come commento sociale, una pratica catartica, e lode a Dio – non sono cambiate e la musica continua ad agire come voce di tutti”.  In effetti i ritmi del reggae, che nacquero nella piccola isola caraibica verso la fine degli anni Sessanta anche come ausilio alla preghiera nell’ambito del rastafarianesimo, la principale fede religiosa giamaicana, varcarono ben presto i confini della Giamaica andando ad influenzare notevolmente molti altri ritmi musicali (in particolare nella Gran Bretagna e negli Usa)  come il punk ed il rap i quali, pur avendo una loro specifica linea melodica, ricevettero dal reggae una nuova vigorosa linfa  ed un più che notevole impulso alla loro crescita esponenziale mondiale.

*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO