L’APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CARDIOVASCOLARE

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Prescrivere esami ed indagini a tappeto è insensato, è proprio di chi non conosce la clinica medica

Dottor Professor Aldo Ercoli
Dottor Professor Aldo Ercoli

L’abilità del clinico esperto di arrivare ad una diagnosi e di prendere decisioni con una certa rapidità poggia sulla sua esperienza clinica accompagnata da un vero aggiornamento continuo.  E’ questo un argomento scottante che investe “curriculum taroccati”, conoscenze politiche, master a pagamento. Il clinico esperto ascolta, interroga, visita, sceglie indagini utili ad un obiettivo specifico frutto di una strategia finalizzata.  Prescrivere esami ed indagini a tappeto è insensato, è proprio di chi non conosce la clinica medica né la ama. Solo chi ha le giuste motivazioni segue un ragionamento che conduce ad una diagnosi differenziale e termina con la giusta scelta terapeutica.

Questo “iter” è certamente complesso. Lo è ancor di più in ambito cardiologico. Approcciare un paziente con possibile malattia cardiovascolare non è facile. Stiamo parlando delle patologie più gravi e frequenti nei paesi sviluppati e che costituiscono un problema crescente in quelli in via di sviluppo. Sono responsabili del 35% di tutti i decessi, quasi un milione al giorno. Nel 25% dei casi questi decessi avvengono improvvisamente. Nelle ultime decadi stiamo assistendo ad una certa inversione di tendenza uomo – donna.

In queste ultime la percentuale dei decessi dovuti a malattie cardiovascolari è maggiore (43%) rispetto a quello degli uomini (37%).

Questo perché la patologia coronarica è più frequentemente associata a disfunzioni del microcircolo coronarico delle donne rispetto agli uomini. Un ruolo importante nello sviluppo dell’aterosclerosi è l’infiammazione subclinica assieme a tanti altri fattori di rischio: diabete mellito dell’adulto (tipo II), obesità, ipertensione arteriosa, tabagismo, displipidemia (colesterolemia), omocisteina ecc.

A tutto questo dobbiamo aggiungere la familiarità, ossia la genetica, la tendenza ad ammalare di malattie cardiovascolari. Non basta. E’ altresì importante lo stile di vita comportamentale nell’affrontare i problemi quotidiani, nel rapporto interpersonale con il prossimo.

Anche una condizione stressogena continua, un forte dolore morale (es. un lutto familiare) può avere conseguenze devastanti. Compito del clinico esperto e motivato e valutare il contesto di tutti questi fattori di rischio.

E’ come può farlo se non si sottopone il paziente ad un lungo interrogatorio anamnestico? Come può intraprendere un percorso diagnostico se non si conosce bene né la semeiotica né la clinica? Chi crede che siano sufficienti solo esami diagnostici, sia ematici che strumentali (ecg, ecocardiografia etc) è fuori strada, è solo un tecnico che non ragiona.

Se ciò vale per i pazienti che presentano sintomi (dolore al petto, dispnea, palpitazioni, sincope) lo è anche per chi è asintomatico, per chi erede di stare bene. Credetemi il mio non è terrorismo psicologico. Troppe patologie non danno né segni né sintomi. Un controllo occorre farlo tutti. Si dice sempre, con una certa stupida ovvietà, che prevenire è meglio che curare. Ma quanti lo fanno? In questi soggetti asintomatici oltre alla visita cardiologica, ci vengono in aiuto gli esami clinici (colesterolo tot, hdl, ldl, pcr, omocisteina etc), la misurazione della pressione arteriosa ad entrambe le braccia. Poche cose.

Se tutto è nella norma, e l’anamnesi è negativa, ci si ferma qui. Per stare più tranquilli è bene anche eseguire una radiografia del torace ed un esame elettrocardiografico.