L’Amico immaginario – 2° Parte

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del Dottor Riccardo Coco

Dottor Riccardo Coco Psicologo - Psicoterapeuta
Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Che cos’è? Perché alcuni bambini hanno bisogno di inventarselo?
Che funzioni psicologiche riveste nello sviluppo infantile?
C’è da preoccuparsi o è un fenomeno normale?

Nella 1° parte del presente articolo (vedi www.riccardococo.net sezione articoli) ho introdotto l’argomento dell’amico immaginario, sottolineando l’aspetto di normalità di tale fenomeno, tipico dei 3-4 anni, ed evidenziandone alcune funzioni psicologiche, come quella di poter essere il ricettacolo delle proprie malefatte o un compagno che lenisce la solitudine, consola e rassicura.

Vedremo ora altre funzioni che può rivestire tale amico immaginario: un’altra per esempio è quella di essere il depositario di aspetti del Sé ideale del bambino; ovvero quello che il bambino vorrebbe essere e non è: un modello da imitare, più grande, più bello, più coraggioso, più sicuro e così via. È il caso della bambina che si sente goffa ed impacciata e che si inventa un’amica immaginaria bellissima, che fa la ballerina; oppure il caso del bambino gracile che perde sempre a pallone e che si inventa un amico che vince sempre ed è ammirato da tutti.

Attraverso queste figure i bambini cercano di compensare le proprie frustrazioni ed identificandosi con i loro compagni immaginari fantasticano, crescendo, di poter diventare come loro. In altri casi invece, in maniera opposta, l’amico immaginario può rappresentare gli aspetti negativi del sé che il bambino percepisce di avere e non è disposto ad accettare.

È quello che succedeva con “Tigre sorridente” di cui dicevo nella 1° parte dell’articolo: in questo modo il bambino può dire “non sono stato io, è stato lui” a fare quella cosa di cui si sente colpevole. L’amico immaginario in questo modo diventa una specie di alter-ego, la parte “cattiva” di sé, tale che lui possa rappresentare “la parte buona”. Ancora un’altra funzione che può avere l’amico immaginario è quella di essere un “portavoce”: un intermediario che rivela ai genitori ciò che il bambino non osa dire apertamente. Sicché l’amico immaginario può lamentarsi del fatto che quando torna a casa non trova mai mamma e papà. In questo modo il bambino lancia il suo messaggio indiretto di critica nei confronti dei genitori e di richiesta di una loro maggiore presenza.

L’amico immaginario dunque non è una presenza utile solo al bambino, ma anche ai suoi genitori rivelando degli aspetti nascosti del “mondo interno” del figlio. È così utile questo bambino immaginario per lo sviluppo del bambino che egli non vi rinuncia anche quando nella realtà ha una vita sociale molto attiva, piena di amici “veri” con cui giocare. È importante non rimproverarlo o peggio prenderlo in giro per il fatto di avere amici immaginari. Se ciò dovesse avvenire il bambino continuerebbe comunque ad averne ma li terrebbe segreti non condividendo più con i genitori i contenuti della sua relazione con l’amico immaginario.

Contenuti che abbiamo visto essere preziose “finestre” sul mondo interno del bambino. È ugualmente fuori luogo “renderlo troppo reale” mettendo un posto a tavola in più per l’amico immaginario o comprare due palette e due secchielli per far giocare anche l’amico immaginario. Nel gioco infantile c’è sempre un equilibrio molto delicato tra il far “per finta” e il far “per davvero”, che spetta al bambino calibrare, senza l’intervento dell’adulto. Come l’orsacchiotto, l’amico immaginario appartiene solo a lui: sta a lui evocarne o meno la presenza.

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