Come vi racconto nei miei articoli nel corso degli anni ho recuperato, restaurato e riportato al loro primitivo splendore infinite quantità di opere d’arte provenienti da vari siti: quadri, suppellettili, vasi in avorio, in oro, legno e bronzo, sia in Italia che all’estero. Tanto da ricevere varie lettere d’encomio, l’ultima dal Louvre.
In questa occasione voglio parlare dell’alimentazione del popolo etrusco, scoperta a seguito dei vari oggetti recuperati sui quali troviamo dipinti gli alimenti che erano soliti consumare, tanti da allestire una mostra a cura dalla Soprintendenza dell’Etruria Meridionale e da indurre la Zecca dello Stato ha rilegare quattro volumi in un unico cofanetto dove si parlava, non solo degli Etruschi ma dei Greci, degli Egizi e dei Romani. Era il 1987 quando in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione usciva il testo ”L’alimentazione nel mondo antico” contenente alcune mie considerazioni.
Tornando al mondo etrusco, ancora avvolto nel mistero, si ipotizza sia solo parzialmente conosciuto, i prodotti agricoli tipici di questo popolo sono noti grazie appunto alla quantità di fonti storiche dirette e indirette che ci sono pervenute. A partire dai dipinti che riportano scene di caccia al cinghiale, e tavole imbandite di carne bovina, suina e ovina accompagnate dai prodotti tipici della nostra terra: legumi, bietole, porri, finocchi, rape, cipolle, aglio, cardi, fave, prugne, fichi, castagne e uova. Non mancava la selvaggina così come il pesce, dai piatti di terracotta ritrovati e dalle statuine raffiguranti donne intente ad impastare focacce e pasta. L’olio e il vino, che venivano persino esportati in Francia via nave, erano dati in premio agli atleti in occasione delle gare, tanto erano preziosi.
Numerose le testimonianze di noti autori che hanno scritto dell’agricoltura in Etruria. Diodoro Siculo scrive: “La terra dà molti frutti e gli abitanti, per la cura stessa che mettono nel coltivarla, riescono a renderla abbondante di frutti e non solo per l’autosostentamento… In generale l’Etruria, assai fertile, si distende in campi costituiti da vaste pianure, intervallate da molte colline, che sono ben coltivabili...”. Plinio il Giovane rende noto che “è meglio che un suolo denso, come è diffuso in Italia, venga seminato dopo la quinta aratura, ed in Etruria, in vero, dopo la nona”. Lucifrone invece riporta di mandrie di ovini “… e le valli boscose ricche di greggi di Pisa e di Agilla (Caere)”.
Curiosando. Gli Etruschi usavano chiamare il contenitore con il nome del prodotto al quale era destinato, un esempio è la coppa a forma di mammella dal nome Mastos, che conteneva il latte.