Etimologicamente, adottare vuole dire “desiderare qualcosa o qualcuno” (ad+optare).
Il termine “adottare”, quindi, può essere visto sia verso un figlio naturale e con il proprio DNA, sia nato da altri genitori, con il DNA di altri. Adottare un figlio vuol dire, quindi, fare in modo che quel figlio venga riconosciuto unico e che gli sia dato la possibilità di crescere in uno spazio fisico e mentale. Adottare un figlio, in altre parole, vuol dire dargli una identità. Quindi, qualsiasi coppia che progetti un figlio, adotta un figlio. La genitorialità è un processo in continua evoluzione in cui si vede la co-determinazione dell’adulto di riferimento con il bambino, in cui l’adulto si impegna a favorire il sano sviluppo pscio-fisico-sociale del bambino. La coppia genitoriale è la coppia che, ad un certo punto del suo ciclo vitale, decide di avere un figlio e si prepara ad accoglierlo.
Tutte le coppie, generalmente, si preparano ad una genitorialità biologica, alcune, però, devono deviare verso una genitorialità adottiva che porta con sé vissuti diversi. Quando la coppia decide la via dell’adozione vuol dire che è diventata consapevole della sua incapacità di procreare biologicamente. Questo può provocare pensieri di inutilità (nella donna) o di mancanza di virilità (nell’uomo) con possibile conseguente responsabilizzazione dell’altro, sensi di colpa verso l’altro oppure vissuti di evitamento o di vuoto. È importante per la coppia, prima di iniziare il percorso dell’adozione, farsi aiutare per elaborare il lutto dell’infertilità al fine di adottare “il bambino” e non “un bambino”. L’adozione, quindi, diventa un atto di accoglienza e non un colmare un vuoto. L’adozione può essere vista come l’incontro di una coppia che non può generare biologicamente un figlio e un figlio che non ha avuto la possibilità di crescere con i propri genitori biologici. Un’adozione riuscita si verifica quando entrambi hanno superato i propri momenti luttuosi divenendo famiglia.
Il percorso che porterà all’adozione è un percorso creativo in cui la coppia elabora la propria sterilità, rinegozia un nuovo progetto generativo condividendolo con famigliari ed amici. Il supporto psicologico serve anche quando il bambino è entrato nella nuova famiglia. Dal punto di vista della coppia,
1- viene fornito l’aiuto necessario per trasformarsi da coppia a triade, aiutandola a superare eventuali ma naturali crisi che potrebbero minare la sua stabilità (ogni coppia va in crisi con l’inserimento di un nuovo elemento);
2- aiuta la coppia ad elaborare le naturali ed evidenti differenze fisiche, culturali e sociali facendole diventare una risorsa nella famiglia;
3- aiuta i genitori a non mettersi in competizione con i genitori adottivi.
Il percorso di sostegno psicologico è fondamentale anche per il bambino. Ricordiamoci che il bambino ha subito uno strappo dai suoi genitori o alla nascita o dopo i primi anni di vita. Molti studi evidenziano che il feto durante la gestazione percepisce gli umori della madre, si nutre di ciò di cui la madre si nutre a sua volta. Molti studi evidenziano che il neonato riconosce l’odore della madre e il suono della sua voce. La separazione perinatale o nei primi anni di vita è un vero e proprio strappo che il bambino, ovviamente, non si sa spiegare. Conosce solo la sensazione di strappo. Per il neonato quelli sono i suoi genitori, che siano effettivamente adeguati o no. Il supporto psicologico permette, quindi, al bambino di elaborare questo strappo inserendosi gradualmente nella nuova famiglia; lo aiuta a crearsi una nuova identità collegata, però, alla sua identità originale. Gli permette, inoltre, di creare legami di fiducia basilari per un sano interscambio famigliare.
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta
Psicologa Giuridico-Forense
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