Quale bellezza è migliore? La bellezza esteriore o quella interiore?
C’era una volta un ragazzo che, sfuggito alla fame della sua terra, era giunto chissà come in una cittadina del litorale italiano. Accolto nella scuola della città il ragazzo, pur desideroso di studiare, faceva molta fatica perché non vedeva la lavagna e spesso doveva alzarsi dal proprio posto per avvicinarvisi. I compagni lo aiutavano, anche perché era simpatico e gioviale.
Una di loro però fece di più: raccontò la situazione alla madre e questa scrisse alla scuola chiedendo di aiutarla, in assoluto riserbo, a donare degli occhiali al ragazzo la cui famiglia non aveva soldi per acquistarne. I docenti della classe rimasero colpiti dalla situazione, decisero di unirsi al contributo per l’acquisto di questi occhiali e si attivarono rivolgendosi ad uno dei migliori ottici della città e dei dintorni. Quando si fa del bene, pensarono, lo si deve fare nel migliore dei modi, quindi non un ottico qualsiasi, ma il migliore del territorio.
La famiglia del ragazzo, inizialmente contraria per un orgoglio inutile, dopo le insistenze dei docenti, accettò il dono e il ragazzo entrò in quel negozio illuminato vicino la stazione di cui a malapena distingueva il disegno stilizzato di un abete natalizio. La scienza e la professionalità fecero il miracolo: quell’albero quasi irriconoscibile divenne nettamente visibile e quel luogo pieno di luci come sempre divenne un luogo pieno di luci di gioia. Il titolare del negozio di luce non volle un solo centesimo, anzi chiarì che quelle luci erano le luci di sempre, quelle che desiderava tutti potessero avere la possibilità di vedere, di potere osservare le luci della realtà, esattamente il contrario dell’ottico della famosa canzone di De Andrè. Aggiunse che i soldi che avrebbe dovuto spendere per decorare il suo negozio con festoni natalizi per qualche giorno, aveva deciso di offrirli, insieme a quelli degli altri negozianti, per acquistare cesti alimentari da donare a chi è bisognoso, acquistandoli da piccoli negozi che stanno soffrendo schiacciati dai grandi magazzini e suggerì che la mamma ed i docenti, che si erano offerti di aiutare quel ragazzino, potevano usare quegli stessi soldi per fare acquisti per il ragazzo in altri negozi della città.
Questa storiella di Natale non è stata malamente inventata, ma è esattamente quanto accaduto in questi giorni di un terribile 2020 in una città che vede al suo interno egoisti, xenofobi e ignoranti, ma che non è marcia, volgare e morta, non lo è perché vi vivono persone di ben altra natura, persone che amano il prossimo, anche se lo conoscono appena o non lo conoscono affatto, persone che ci offrono quella luce invisibile ad altri, persone che ci fanno ringraziare di esistere perché loro esistono, persone che rendono questa città viva e sana e sono tante, molte di più di quanto si possa immaginare navigando nei social.
Quale bellezza è migliore? La bellezza esteriore o quella interiore? Queste domande sono oziose nel senso latino del termine e quanto accaduto e sopra raccontato le mette a confronto con il termine “negozio” che in latino intendeva la fattività. Ciò che conta non è il parlare, ma il fare.
Jessica D’Aurea e Riccardo Agresti