Vi scrivo per poter condividere un mio pensiero affinché si sappia cosa accade e cosa può accadere, in questo periodo complicato, nelle nostre città. E da ragazza poco più che venticinquenne, vi scrivo per denunciare un episodio accaduto alla mia famiglia circa una settimana fa.
«Mia nonna, l’unica che avessi avuto sin dall’infanzia, è deceduta in un ospedale, sola, attaccata ad un respiratore.
Dopo giorni di lotta – perché, nonna, tu eri una donna combattiva – ha perso la battaglia contro il Coronavirus, e ci hai lasciati per sempre.
Per una interminabile settimana ho cercato di combattere il senso di colpa, l’idea che se l’avessi portata via da quella RSA ora, forse, sarebbe ancora qui con me.
Mio malgrado, non possiamo cambiare il passato ed i suoi frutti, eppure non riesco a smettere di pensarci – di pensarti, nonna.
Nonna, saresti morta se la struttura che ti ospitava non avesse permesso il dilagare del virus? Se avesse preso tutte le misure adeguate al suo nome?
Te ne saresti andata se ci avessero informato della tua positività, delle condizioni in cui versavi – perché no, “la signora” non “stava benissimo”? Se non ti avessero ricoverata in ritardo?
Ci avresti lasciati, se tutti gli operatori avessero effettuato correttamente i tamponi e si fossero comportati conseguentemente?
Probabilmente no.
E ti assicuro nonna, con tutto l’amore che una nipote possa provare, che non ti avremmo lasciata morire silenziosamente.
Vi assicuro che, se fossimo stati a conoscenza delle sue vere condizioni, l’avremmo tirata fuori da lì, che l’avremmo fatta ricoverare ancor prima, che le avrei tenuto la mano almeno un’altra volta.
Mia nonna è stata trattata volontariamente come un elemento sacrificabile della società e d’ora in poi non potrò fare a meno di chiedermi come sarebbe andata sotto altre circostanze, con altri se e con altri ma.
Perdere una persona così amaramente è una situazione particolare, surreale, quasi onirica. Il giorno prima era lì – al sicuro, sulla poltrona a leggere un libro o a bere il tè – e il giorno dopo è svanita completamente, con un schiocco di dita, senza lasciare un suo ultimo ricordo.
Per me, nonna, sei ancora lì, sul balcone a spiare i passanti, sperando di poter ancora correre come loro per le vie di Ladispoli. Sperando che qualcuno ti venga a trovare anche oggi.
Come la mia, mille altre famiglie hanno vissuto la stessa storia e spero che al di là delle critiche e delle difficoltà possiate andarne a fondo e trovare la verità, soprattutto se l’avete vissuta qui, nella mia città, nella stessa struttura.
Le RSA esistono per preservare i nostri nonni, i nostri cari. Inserire un anziano temporaneamente all’interno di una RSA non significa abbandonarlo, significa proteggerlo da un mondo esterno dove il rischio di contagio è molto più elevato. Inserire un anziano in una RSA non dovrebbe significare non poterlo rivedere mai più, abbandonarlo ad una morte per noncuranza solitaria ed inevitabile.
Nonna, ad oggi, posso confessarti che non so, purtroppo, se avrei potuto regalarti un lieto fine, ma so per certo che non meritavi il trattamento ricevuto da una – quella – struttura inadempiente ed irresponsabile e che, durante quella estenuante battaglia, non sei mai stata sola, non abbiamo smesso di pensarti un attimo».