Con questo articolo vorrei descrivere la storia e delineare la personalità della vittima del narcisista o, meglio, della persona che costruisce e passa da una relazione tossica ad un’altra.
Chi mi conosce sa che non differenzio le coppie omosessuali da quelle eterosessuali perché, come ho descritto in un precedente articolo, le dinamiche di coppia vanno oltre il genere. È importante, innanzitutto, evidenziare le caratteristiche della relazione tossica:
1) l’alternanza tra valutazione e svalutazione di un partner, spesso quasi contemporanee; 2) le continue richieste di aiuto da parte di un partner verso l’altro;
3) la sensazione della vittima di non essere/fare mai abbastanza;
4) il senso di spossatezza e di estrema stanchezza dopo una discussione (prosciugamento energetico).
Solitamente la relazione tossica inizia in modo “splendido”, con un feeling tra i partner mai visto e mai vissuto prima. Il sesso è intenso ed estremamente soddisfacente. Progressivamente, però, iniziano i problemi di comunicazione, di fraintendimento in cui tendenzialmente un partner, in modo sottile, tende ad incolpare l’altro (la vittima) facendo leva sulle sue caratteristiche di personalità. La vittima, ovviamente, cerca di correggersi e di cambiare atteggiamento mettendosi in discussione. Ciò senza risoluzione poiché è solo un partner che si mette in discussione, alimentando una spirale tossica “più mi sforzo di fare il meglio più vengo accusata/o”.
Ma perchè una persona entra e rimane in questo gioco di coppia perverso?
Solitamente la vittima è una persona che già alle spalle conosce questo gioco e ha sempre avuto un ruolo di “salvatore” nella propria famiglia. Di solito sono bambini cresciuti in fretta, figli di genitori con problemi di tossicodipendenza, di alcolismo oppure figli di genitori altamente litigiosi che li hanno triangolati fin dalla nascita. Hanno sempre avuto un ruolo di accudimento e di genitore verso i propri genitori. Raccontano che fin da piccoli si occupavano di gestire la casa, di fare da mediatore con i propri genitori.
Sono bambini cresciuti in fretta, responsabilizzati sui loro compiti fin dalla tenera età.
Sono bambini adultizzati.
Sono bambini che hanno avuto “paura” ed erano disperati senza ammetterlo.
Sono bambini che hanno lasciato da parte i loro giochi da troppo tempo, che si cucinavano al rientro dalla scuola, che si vergognavano a far venire a casa loro gli amichetti.
Sono bambini che hanno subìto una comunicazione paradossale dagli adulti di riferimento (“ti amo e ti odio/sei bravo e cattivo” allo stesso tempo).
Sono bambini che non si sono permessi di dire “mamma/papà ho paura”, “mamma/papà sto soffrendo tanto” perché hanno soffocato sempre le loro emozioni: venivano prima gli altri.
Sono bambini che si sono impegnati ad essere “i bravi bambini” per far andare tutto bene senza, però, riuscirci perché non dipendeva da loro.
Sono bambini che crescendo, hanno continuato, da adulti, ad essere persone con una capacità di problem solving eccellente tanto che, spesso, ricoprono ruoli lavorativi importanti e sono riconosciuti come molto bravi.
Sono persone affidabilissime sia nel lavoro che nelle amicizie, ma che si dedicano troppo agli altri. Sono persone che fanno troppo e che non riescono a dire “NO”. Sono persone che si mettono a disposizione degli altri ma che non sanno chiedere aiuto perché, quando lo chiedono, nessuno sembra rispondere. Sono persone che si domandano “perché sono brava/o a risolvere i problemi degli altri ma incappo sempre in queste relazioni e ne esco sempre distrutta/o?”.
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
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