Contaminanti, micotossine e glifosato nei grani duri: Come tutelarsi?
di Alfonso Lustrino
Che pasta dobbiamo mangiare?”. È questo l’interrogativo che la gente si pone oggi più che mai dopo l’inchiesta di un noto mensile a tutela dei consumatori e la successiva messa in onda dei risultati delle analisi da parte della nota trasmissione televisiva “Striscia la notizia”.
La rivista in questione, “Il Salvagente”, ha messo sotto la lente di ingrandimento 23 marche di pasta con lo scopo di scovare sostanze tossiche. L’inchiesta ha ripercorso la trafila delle importazioni di grano proveniente dall’estero ed in particolare da USA e Canada. Uno degli obiettivi principali della rivista era quello di mettere in evidenza l’eventuale presenza di glifosato, tra i primi diserbanti utilizzati al mondo e considerato “probabile cancerogeno” dall’AIRC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro). Secondo quanto riporta il Test effettuato ci sono pericoli per la salute, almeno potenziali rischi, in alcune marche di pasta vendute in italiana per la presenza di pesticidi, glifosato (anche se sotto i limiti consentiti dalla legge, che sono di 10 mg per Kg) e micotossine. Negli ultimi anni circa la metà delle tonnellate di grano che l’Italia importava ogni anno proveniva dal Canada, dove gli agricoltori fanno ampio uso di glifosato. In Italia non servirebbe neanche a molto, dato che il sole italiano secca naturalmente le spighe.
La dottoressa Patrizia Gentilini, oncologa ed ematologa, ha chiaramente spiegato i pericoli legati alla presenza contemporanea di più di un fitofarmaco per quanto al di sotto dei limiti di legge, e di micotossine. Al termine del servizio sono stati fatti i nomi di alcune marche di pasta italiana analizzata: le paste biologiche prese in esame sono tutte risultate prive di qualsiasi ingrediente tossico, mentre ben tre noti marchi, presenti anche nel nostro territorio, sono risultati i peggiori. Visto che il glifosato è un interferente endocrino, come ha confermato anche lo studio pilota della dottoressa Fiorella Belpoggi dell’istituto di ricerca ‘Ramazzini’ di Bologna, sarebbe bene che l’erbicida in questione fosse totalmente assente.
Il noto micologo pugliese, Andrea Di Benedetto, che da anni si occupa del problema, è ancora più drastico: i problemi, non meno gravi, sono legati alla presenza di micotossine. E’ il caso del cosiddetto DON, acronimo di Deossinivalenolo. L’Unione Europea, nel 2006, in seguito alle pressioni delle lobby, ha alzato il limite di questa micotossina. Il grano pieno di DON viene miscelato con i grani italiani (parliamo dei grani duri del Sud Italia che hanno un contenuto di DON pari a zero) e poi viene utilizzato per produrre pasta, pane, pizze, dolci ecc. E’ uno scandalo che va avanti da anni. Di Benedetto afferma con fermezza che tantissimi derivati del grano duro che circolano in Italia e in Europa vengono prodotti con grani duri che dovrebbero essere considerati addirittura rifiuti speciali. Uno degli effetti collaterali è, per esempio, la gluten sensitivity, ovvero l’aumento della sensibilità al glutine.
Il problema, sia chiaro, non è il glutine, che è presente in tutti i derivati del grano duro, a causare patologie è invece la micotossina DON, che provoca una sorta di allargamento delle giunture serrate a livello dei villi intestinali. In condizioni normali i villi intestinali non assorbono il glutine. In un certo senso possiamo dire che tutto questo nasce dal fatto che alcuni grani vengono coltivati in Paesi dove non sarebbe opportuno farlo a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli. Il grano è una coltura che dovrebbe essere tipica delle aree del mondo a Sud del 42 parallelo nell’emisfero boreale. In queste zone, e il Mezzogiorno d’Italia ne è un esempio classico, le radiazioni ultraviolette del sole eliminano i funghi che producono micotossine. Non altrettanto può dirsi delle aree umide, dove i grani, proprio a causa dell’umidità, sviluppano funghi e quindi micotossine. Bisogna dire che i consumatori hanno vinto una prima significativa battaglia del grano: anche se la guerra per avere una materia prima davvero “pulita” è ancora lunga, le nuove analisi effettuate testimoniano un cambio di passo: i pastai italiani non hanno retto alla pressione dei consumatori e hanno cominciato a ridurre l’importazione di grani da USA e Canada. Segno che la nostra scelta al supermercato può decisamente influenzare le politiche economiche nazionali e non solo. Importante sottolineare che la provenienza da sola non garantisce la qualità. Tuttavia aver ridotto l’uso di un grano come quello nord americano mette al riparo da alcuni rischi, ma non è abbastanza. I dati presi in esame invitano a un cauto ottimismo, ma ci impongono di non abbassare la guardia e ci suggeriscono che è ancora presto per cantar vittoria. Alla luce di quanto descritto una riflessione è d’obbligo: mezzo chilo di pasta non può costare 50-60 centesimi. Se questo avviene, beh, c’è qualche problema. E infatti il problema è che la materia prima è scadente e fa male sia alla salute sia all’intera economia delle zone del Sud Italia e del Mondo.