L’avvenire europeo risiede nelle sue radici storiche, culturali e morali.
ANTONIO CALICCHIO
Il risultato delle recenti elezioni europee solleva nuovamente un quesito: quale Europa? Una sintetica rimembranza storica può essere di ausilio, in vista di comporre una risposta: nel primo dopoguerra, Spengler, in Il tramonto dell’Occidente, si era richiamato alla categoria, appunto, del “tramonto”, per sottolineare le propensioni disgregatrici della modernità occidentale ed europea, in cui le due anime del Faust, la tragica e la tecnica, si sarebbero concentrate a detrimento della prima, con l’effetto di reificare l’uomo e di dischiudere la strada alla violenza, posta, poi, in essere dai sistemi ideologici.
Blumenberg aveva impiegato la metafora del “naufragio”, in, appunto, Naufragio con spettatore, per rappresentare la condizione generata dalla parabola della modernità, in cui qualunque certezza pare smarrita e l’uomo è, a un tempo, naufrago e spettatore del suo naufragio. Bauman ha illustrato tale situazione come quella di una “modernità liquida”, in cui “modelli e configurazioni non sono più dati e tanto meno assiomatici; ce ne sono semplicemente troppi, in contrasto tra loro e in contraddizione dei rispettivi comandamenti, sicché ciascuno di essi è stato spogliato di buona parte dei propri poteri di coercizione”, in, appunto, Modernità liquida.
Siffatte interpretazioni individuano la civiltà occidentale, in generale, e l’Europa, in particolare, come destinate ad un incessante itinerario di disfacimento e di decadenza. Però, in esse, l’apporto fornito dalla tradizione giudaico-cristiana al costituirsi della identità europea resta grandemente in ombra. Pure in forza di questa ragione sostanziale, il magistero pontificio, degli ultimi decenni, ha ribadito le “radici cristiane” dell’Europa, senza cui sarebbe impensabile ed insostenibile la volontà di una comune “patria europea”.
In questa prospettiva, il Papa, nel ricevere i Capi di Stato e di Governo della U.E., alla vigilia della celebrazione del sessantesimo di essa, il 24 marzo 2017, ha dichiarato: “Alle origini della civiltà europea, si trova il cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano, per lo più, incomprensibili”. Ciò perché l’Europa “è una vita, un modo di concepire l’uomo, a partire dalla sua dignità trascendente ed inalienabile, e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare.
Alle origini dell’idea di Europa, vi è la figura e la responsabilità della persona umana, col suo fermento di fraternità evangelica”. La qual cosa è quanto dire che l’avvenire dell’Europa non può astrarre dalle sue radici morali, atte a sostentare una rinnovata passione etica e un condiviso impegno civile.
E tornare al concetto di Europa unita, elaborato dai Padri fondatori, si mostra come una precondizione cruciale per corrispondere a questa necessità! Così, Schuman, Ministro degli Esteri francese, uno dei Padri fondatori, il 9 maggio 1950, aveva affermato: “L’Europa sorgerà da realizzazioni concrete, che creino, anzitutto, una solidarietà di fatto …
La solidarietà di produzione, aperta a tutti i Paesi, che vorranno aderirvi, e intesa a fornire a tutti i Paesi in essa riuniti, gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero, senza distinzione, né esclusione, per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace”.
De Gasperi, nel discorso La nostra patria Europa, svolto alla Conferenza Parlamentare Europea, di Parigi, il 21 aprile 1954, asseriva: “Tutta la nostra costruzione socio-politica suppone un regime di moralità internazionale. I popoli che si uniscono, spoliandosi delle scorie egoistiche della loro crescita, debbono elevarsi anche ad un più fecondo senso di giustizia verso i deboli ed i perseguitati”.
Nell’evidenziare la rilevanza della decisione morale da porre a fondamento della promessa per “fare l’Europa”, egli ne puntualizzava le finalità ultime – la pace, il progresso e la giustizia sociale dei popoli – senza rinunciare a rimarcare i limiti delle nuove istituzioni europee. Una Europa scevra di punti di riferimento morali alti, di spirito di accoglienza e di integrazione, non potrà attuare la profonda vocazione cui è chiamata dalla sua storia.
In quest’ottica, Adenauer, Cancelliere della Germania occidentale, scaturita dalle macerie della ferocia nazista, il 25 marzo 1957, in occasione della sottoscrizione dei Trattati di Roma, con cui si dava solennemente luogo al processo di integrazione europea, aveva proclamato: “Il nostro scopo è di collaborare con tutti, onde promuovere il progresso nella pace … Unendosi oggi, l’Europa non serve soltanto i suoi propri interessi e quelli degli Stati che sono in essa compresi, essa serve anche il mondo intero”.
Questi principi, espressi dai Padri dell’Europa unita, hanno orientato il percorso e le realizzazioni di coloro che, affratellati dal progetto della casa comune europea al servizio della umanità, hanno profuso dedizione, sforzo, ardore ed operosità per edificarla. A sollecitarli, prima che l’interesse economico, è stato un ideale per cui adoperarsi e spendersi personalmente.
Ad essi, si deve la migliore Europa, non quella angariata dalle esigenze di una stabilità rincorsa, talvolta, addirittura, con pregiudizio dei bisogni essenziali della crescita dello Stato, ma l’Europa dei popoli e delle coscienze, alimentata da quelle fonti che hanno prodotto l’unicità e l’unitarietà europee: la civiltà greco-romana e la tradizione giudaico-cristiana.
A questa Europa e alla coscienza morale che ne è alla base dovrebbero conformarsi i nostri politici, al di là delle loro appartenenze partitiche e dei loro convincimenti morali e religiosi. Pertanto, è inammissibile per coloro che rivestono responsabilità decisionali in materia, la non conoscenza delle fonti che hanno legittimato il disegno europeo.
Come rammenta Ricoeur, in L’Europa e la sua memoria, “i popoli non possono vivere senza utopia, al pari degli individui senza il sogno. A tal riguardo, l’Europa senza frontiere rigide è una utopia, proprio perché essa è, innanzitutto, una Idea …
L’importante è che le nostre utopie siano responsabili: tengano conto del fattibile e dell’auspicabile, vengano a patti non solo con le resistenze spiacevoli della realtà, ma anche con le vie praticabili tenute aperte dalla coscienza storica”. La prova è tra le più severe che l’Europa abbia dovuto fronteggiare dai primordi del temerario programma di unione; su ciò si calibrerà il suo presente e il suo avvenire, nonché il suo reale peso nel consesso dei popoli e nella storia umana.
Solamente confrontandosi, in maniera trasparente, con questa prova, i neo-eletti al Parlamento europeo saranno credibili: quanti lo fanno e lo faranno?