La riforma che prese il nome di Fanfani determinò “uno sconvolgimento epocale e di impossibile ritorno allo stato precedente”
di Angelo Alfani
Il primo dicembre del 1951, verso mezzogiorno, con breve ritardo sul programma annunciato, il Ministro dell’agricoltura Onorevole Fanfani, il Prefetto di Roma, il Presidente dell’Ente Maremma senatore Medici assieme a selezionati rappresentanti della F.A.O., riuscirono a fatica e non senza spintoni a fendere la strabiliante folla di cittadini e scolaresche che, da tre ore, infreddolite calpestavano il nero selciato. Salirono la scala a chiocciola che portava al piano nobile del palazzo comunale ed affacciatisi al balcone, prospiciente la vecchia caserma in tufo, tracciarono il piano della Riforma agraria.
Un enorme tricolore scendeva dal balcone affollato all’inverosimile da capoccioni di primissimo piano, fotografi, cineoperatori dell’Istituto Luce; mentre due grandi bandiere coi colori del Comune e della Provincia penzolavano dalle due finestre laterali, accanto a megafoni e “ruffianeria politica” sbracciante, fino a coprire la scritta Banco di Santo Spirito, e quella, a vernice rossa, della farmacia.
Un poco sbiadita, ma ancora visibile sul muro accanto al portone d’ingresso, un’altra scritta in vernice bordeaux: Viva Trieste Italiana. Una palpabile eccitazione si percepiva tra la folla assiepata, mista alla felicità per la certezza di potersi garantire un futuro non incerto non solo per il loro nucleo famigliare ma per una ben più corposa parte della comunità.
Mai fino ad allora decisioni così dirimenti per la vita sociale e culturale della comunità cervetrana erano state prese! Ne tantomeno lo furono nel prosieguo della sua storia, eccezion fatta, forse, per un devastante piano regolatore che, dalla fine degli anni sessanta e per oltre un quarto di secolo, rese le amene campagne, i boschi a ridosso della Doganale, le ombrose colline, le fertili terre a mare e perfino i profondi arenili fitti di gigli di mare ed i montarozzi che si rincorrono, un agglomerato insensato.
Ogni dettaglio era stato preparato a modo fin dall’estate appena trascorsa quando era stato reso noto, attraverso manifesti affissi nei rari luoghi sensibili del Paese, che “dal 5 giugno al 30 giugno 1951, sono depositati presso la Segreteria del Comune i seguenti piani particolareggiati di espropriazione: Ruspoli Laura. Chiunque ne abbia interesse può prenderne visione nelle ore d’Ufficio”
Stessa procedura fu adottata nei mesi autunnali con gli altri indiscussi, fino ad allora, latifondisti: Ruspoli, i Patrizi Montorio, la Pallavicini, i Torlonia.
Cerveteri all’inizio della rivoluzione agraria contava 6.023 abitanti dispersi su di un vasto territorio, di poco superiore ai 14.000 ettari, tale da renderlo il più esteso della provincia romana. Vennero infatti espropriati 8.650 ettari, un 55% circa della intera estensione comunale appartenente per ben tredicimila e seicento ettari a solo quattro famiglie blasonate.
Migliaia di ettari, che dal limaccioso mare ascendevano alle scure e sensuali colline, calpestate solo da armenti, cinghiali e mufloni vennero sverginate. L’acqua salmastra venne drenata, profondi pozzi realizzati con trivelle di acciaio fecero affiorare acqua dolce dalle viscere mai esplorate dai tempi dell’eruzione del vulcano Sabatino
Fu una vera rivoluzione, se con questo termine si intende uno sconvolgimento epocale e di impossibile ritorno allo stato precedente. Una rivoluzione agitata dai comunisti con imponenti manifestazioni e tragiche occupazioni di terre incolte che trovò, in gran parte, suggello nella riforma che prese il nome da Fanfani.
Durò circa sette anni abbracciando quasi tutti gli anni cinquanta.
A sciami centinaia e centinaia di famiglie, provenienti dalle zone più miserabili della Penisola, giunsero con ogni mezzo ad occupare le terre strappate ai grandi proprietari terrieri, agli acquitrini, alla malaria, alle allodole ed agli armenti.
È una dura terra, terra aspra, terra di lavoro, di fatica, di pena. Nessun giardino, nessun fiore gentile, nessuna traccia di “paradiso”. Paesaggio assolutamente terraneo– ma tale, sì, da permettere all’uomo di porvi salde radici. E’ una terra che consente all’uomo un giusto stare, su cui l’uomo può in-sistere. (Massimo Cacciari)