La riscoperta della città etrusca di Vetulonia

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riscoperta Vetulonia
immagine Vetulonia
Uno Schliemann italiano: La storia di Isidoro Falchi, il medico condotto archeologo

di Giovanni Zucconi

La settimana scorsa, abbiamo raccontato di come si fosse ignorata, per molti secoli, l’effettiva collocazione dell’antica e potente città di Caere. A ulteriore testimonianza della coltre di oblio che gli uomini hanno voluto far calare sulla civiltà etrusca, oggi racconteremo brevemente di un’analoga storia, relativa ad un’altra città etrusca perduta e poi ritrovata: Vetulonia, in provincia di Grosseto. Per alcuni aspetti, possiamo fare le stesse considerazioni già scritte per Cerveteri. Vetulonia era una città importante e prestigiosa. Anche se non si può dire che fosse potente come Cerveteri, era sicuramente una fonte di primissima grandezza per le arti, e soprattutto di importanti simbologie e tradizioni, che poi furono adottate da culture successive. A Vetulonia hanno avuto origine i principali simboli del potere che furono poi adottati da Roma: il fascio littorio (poi fatto proprio dal fascismo), la sedia curule, la toga in porpora e la tromba di guerra. Nella sua necropoli è stata trovata la stele in pietra di Aule Feluske, un guerriero che stringe in mano un’ascia bipenne che costituirà, qualche secolo più avanti, l’emblema del potere militare e religioso romano. Date queste premesse, non si può certo dire che Vetulonia fosse una città etrusca qualsiasi. Eppure, fino al 1887, la sua effettiva collocazione era oggetto, come per l’antica Caere, di dispute tra studiosi ed archeologi. A seconda dei vari personaggi e dei loro interessi particolari, veniva posta in luoghi anche distanti tra di loro. A Monte Calvi, per esempio, o nei dintorni di Viterbo, o a Castiglion Bernardi nei pressi di Monterotondo. E poi ancora a Vulci, a Massa Marittima, a Castagneto, ad Orbetello o a Castiglion della Pescaia. Venivano quindi proposte le ipotesi più contraddittorie. E come per Cerveteri, il mistero fu risolto da un archeologo dilettante: Isidoro Falchi. Il Falchi nacque a Montopoli in Valdarno nel 1838, sedicesimo figlio della sua famiglia. Si iscrisse nella facoltà di medicina dell’Università di Pisa, e prima di laurearsi partecipò ai moti rivoluzionari che, in quegli anni, attraversavano l’Italia. Nel 1862 venne nominato medico condotto a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, dove comincia ad appassionarsi agli studi storici. Durante le sue ricerche, trova negli archivi un documento del 1181 che parlava di Vetulonia. Venne anche in possesso di due monete etrusche, in una delle quali era incisa la scritta “Vatl”, abbreviativo di Vatluna (Vetulonia), che provenivano dal paese di Colonna. Parlando con alcuni agricoltori della zona, Isidoro Falchi venne a sapere che ogni volta che aravano, anche superficialmente, la terra, da essa ne uscivano “anticaglie di ogni sorta”: statuette, oggetti in metallo e terracotta, monili, gioielli, utensili da cucina o per il focolare, urne cinerarie anche di epoca villanoviana. Il giorno del Corpus Domini del 1880, Isidoro Falchi, sbagliando strada, arrivò a piedi proprio nell’abitato di Colonna. Vide le imponenti mura ciclopiche che cingevano la città, e questo lo convinse definitivamente che Vetulonia fosse collocata, in passato, proprio in quel luogo. Da quel giorno la vita di Falchi si intreccia con la storia di Vetulonia. Con i propri mezzi, inizia una campagna di ricerca e di scavi che gli permettono di trovare i resti dell’antica città etrusca e delle sue vaste necropoli. L’archeologia non era il suo mestiere, e spesso i suoi scavi sono stati inadeguati da molti punti di vista, ma i risultati sono stati comunque eccezionali. Ha riportato alla luce dei sepolcreti villanoviani (Colle Baroncio, Dupiane, Poggio alla Guardia, Poggio alle Birbe) e delle grandi tombe orientalizzanti (Circoli dei Monili, di Bes, delle Pellicce, Tombe del Littore, del Duce, della Pietrera, del Diavolino), senza trascurare l’area urbana, dove mise in luce un quartiere databile in gran parte al III-I secolo a.C. Naturalmente dovette sempre confrontarsi con i suoi avversari e detrattori, che cercavano di confutare le sue tesi sull’ubicazione dell’abitato di Vetulonia. Ma le sue scoperte non potevano più essere ignorate, e alla fine le sue teorie prevalsero. Anche gli oppositori più tenaci dovettero cedere quando, il 22 luglio del 1887, il re d’Italia Umberto I emanò un decreto con il quale il borgo di Colonna venne ribattezzato e gli fu restituito il suo originario nome di Vetulonia.

Apro una parentesi su questa ultima notizia. Restituire all’abitato di Colonna il suo antico nome è stato un modo per restituire l’antica identità a quei luoghi caduti nell’oblio. Anche per Tarquinia è stata fatta un’operazione simile. Tarquinia, al contrario di Cerveteri, ha avuto la sensibilità e il coraggio di riappropriarsi del suo antico nome. Nel 1872, ha abbandonato il nome altomedievale di Corneto per assumere quello derivante dal mitico Tarconte, riappropriandosi così anche della propria identità etrusca. E se facessimo lo stesso con Cerveteri? “Nomen omen” dicevano gli antichi, significando che nel nome c’è il destino e l’anima delle cose. Se il piccolo paese acquistato dal marchese Ruspoli nel 1674 avesse mantenuto il nobile nome di Agylla o di Caere, forse le cose sarebbero andate in modo diverso, e adesso vivremmo in una città che saprebbe esprimere meglio la propria, immensa, identità culturale etrusco-romana. E questo, credetemi, non sarebbe poca cosa.