Marco Nica, il padre di Daniele, il giovane 16enne l’estate scorsa ha perso la vita sull’Aurelia in un tragico incidente, ha inviato ai colleghi de la Provincia una sua lettera che sembra indirizzata al mondo intero. La pubblichiamo integrale.
«Ho perso mio figlio 8 mesi fa – scrive Marco Nica in una lettera aperta – e i responsabili della sua morte vivono la loro vita come se non fosse successo nulla. Ho lasciato Daniele, minorenne sul posto di lavoro, quindi sotto la responsabilità della ditta per cui lavorava che , invece di riportarlo a casa lo ha affidato a chi lo ha lasciato in un punto dell’ Aurelia dove non si poteva sostare, e lì è stato investito da una persona che, andando ad una velocità molto più elevate del limite consentito per una distrazione ha superato la linea bianca invadendo la carreggiata dove Daniele era fermo uccidendolo». «I responsabili continuano a vivere come se non fosse successo niente – continua Marco Nica nel suo sfogo – ed io avverto la costante frustrazione per uno Stato che mi ha abbandonato e che invece di tutelare chi è stato investito e ucciso, i suoi familiari che da otto mesi non vivono più, tutela chi ha sbagliato. Mi fa sentire come chi combatte una guerra contro l’impotenza sapendo già di averla persa perché lo Stato non dà grandi speranze di giustizia. E penso. Penso che la disperazione per la perdita di un figlio va oltre ogni logica umana, ma penso anche che va oltre la comprensione di come la giustizia punisce i responsabili della tua tragedia. Penso che non succede tutto per colpa del destino ma per distrazioni, infrazioni del codice stradale, eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza, uso improprio del telefonino, guida in stato di stanchezza o sotto effetti di sostanze stupefacenti. Tutte azioni che provocano distrazioni». «Quelle distrazioni che poi uccidono persone innocenti, distruggendo la vita di chi con quelle decisioni consapevoli – continua il padre di Daniele nel suo sfogo – non hanno nulla a che fare e dei suoi familiari. Si, perché la vita non finisce solo per chi viene ucciso ma anche per chi rimane. Penso e cerco le parole per descrivere la perdita di un figlio ma non le trovo, non ci sono. Tutto accade in un attimo e ti ritrovi all’improvviso ad affrontare una situazione impossibile da accettare perché la violenza con cui tutto accade non ti lascia neanche il tempo di capire la vera entità della tragedia che stai vivendo e che sei chiamato ad affrontare. L’immenso dolore invade la tua esistenza e la trascina a margine di un burrone del quale non vedi il fondo. E l’aria ti manca, lo stomaco ti gira, la paura ti assale ma la burocrazia ti scorre a fianco parallela, incomprensibile , con un linguaggio che non riesci ad accettare e diventa ulteriore fonte di dolore, di insoddisfazione, di impotenza. E allora ti chiedi: Perché? Un perché che non avrà mai risposta. Un perché che continuerà a rimbombarti nella testa per tutta la vita e si fa spazio la consapevolezza del ‘‘mai più’’. Ed è allora che i perché diventano altri: Perché l’investitore che ha ucciso tuo figlio sta ancora tranquillamente a casa sua? Perché non gli hanno neanche ritirato la patente? Perché gli è stata ridata la possibilità di distrarsi di nuovo, con il rischio di uccidere un altro innocente? Troppo spesso senti dire: «Purtroppo la burocrazia ha i suoi tempi». «Anche mio figlio aveva il suo tempo, aveva ancora una vita – continua Marco Nica – pensi a quanto diventa assurdo alla tua ragione pensare che lo Stato mette in condizione chi sbaglia di chiedere degli sconti di pena. Perché è incensurato? Perché può patteggiare la sua pena, riducendola ulteriormente? E i tuoi perché senza risposta aumentano. Perché lo Stato pur sapendo chi ha commesso il reato, gli dà la possibilità di ridurgli la pena se riconosce la sua colpa? Questo equivale ad un premio. Eppure ha ucciso tuo figlio! A mio figlio non è stata data una seconda possibilità. La sua vita e stata strappata, per mano di chi non ha rispettato le regole e ha deciso di sua volontà di guidare distraendosi. È più forte di me pensare che ridurre la pena perché incensurati e poter patteggiare per un reato di cui già palesemente sei responsabile e come uccidere di nuovo chi è stato già ucciso, gli si manca di rispetto. «E poi mi chiedo – continua Marco nel ricordo di suo figlio Daniele – che cosa devo fare per avere giustizia? E i pensieri si perdono nella convinzione che se guidi in maniera responsabile secondo le norme stradali, rispettando le regole del codice della strada e quello comportamentale non puoi non vedere un’auto ferma, o evitare un ostacolo. Se lo fai hai le stesse colpe di chi si mette alla guida in stato si ebbrezza o che abbia assunto droghe. Questo non ci darà indietro le nostre persone care, ma gli darà il giusto rispetto che meritano e soprattutto la certezza della pena senza sconti assurdi farà in modo di far mettere le persone alla guida del proprio mezzo, con la giusta misura di attenzione».
Marco Nica