«UN’INTENSITÀ PSICOLOGICA AVVOLGE UOMINI, COSE, ALBERI, MURA: ESALTAZIONE DEL LEGAME SOCIALE DELLA COMUNITÀ. IL COINVOLGIMENTO È TOTALE… ESPIAZIONE COLLETTIVA FORSE»
di Angelo Alfani
Una antica tradizione non “contaminata” in cui il vecchio Paese diventa spazio sacro.
Quasi senza accorgersene, una breccia di Porta Pia dietro l’altra, ci si ritrova in un mondo in cui tradizioni, dagli ancoraggi antichi, sono state stravolte con aggiunte posticce che le hanno contaminate, rendendole irriconoscibili e schizofreniche. Quando, ed è il caso di molte, non siano letteralmente finite, oggetti inutili, nella cassapanca dei trisavoli.
Il calendario degli “eventi”, così vengono chiamati, con le loro nauseabonde “narrazioni -, altra terribile espressione “imposta” da Vendola, il Mac Ronay pugliese – è zeppo di ricorrenze imposte, inventate per il semplice consumo o per festeggiare nel consumo le mamme, i padri, i nonni, gli zii ed i cognati. Troveranno posto anche le suocere, o i suoceri tra breve, e ci sta da scommettere sul Capodanno cinese come evento globale. Di tradizioni (dal latino “tradere”: tramandare) anche qui in collina non è che ce ne siano rimaste assai: grasso che cola se si supera il numero delle dita di una mano.
La sfilata per Sant’Antonio abate, le pizze dolci di Pasqua col pranzetto a seguire su pei monti, la Cacciarella, le Processioni solenni: da quella intensa e cupa del Venerdì Santo alle Infiorate, cariche di colori e profumi. Tradizioni non istituzionalizzate che sono grumi di vita in un “cimitero” cosparso di lapidi, quanto e più dei cimiteri cervetrani divenuti da tempo inospitali, nel significato etimologico del termine “inhospitalis”, composto di “in” e “hospitalis” […] a concedere ospitalità. Il dramma che si rappresenta il Venerdì è un dramma in movimento: il vecchio Paese diventa spazio sacro in cui si rappresenta la Morte per superare la Morte. Dal processo a Cristo nell’unicità della balconata del Palazzo dei Principi, col popolo a testa in su che si accalca nella Piazzetta intorno al grande portone, e a seguire poi, lentezza dopo lentezza, la giaculatoria che, nel silenzio e buio dei vicoli, si snoda, come consuetudine immemore il corteo processionante. Il ritorno poi per l’atto finale: la crocifissione tra i due ladroni. Una intensità psicologica avvolge tutti, uomini, cose, alberi, mura: esaltazione del legame sociale della Comunità. A ben considerare il sentimento religioso che si vive durante la processione è più intenso, dello scampanare del giorno della Resurrezione. Il coinvolgimento è totale. Espiazione collettiva forse. Riporto due considerazioni di giovani, nati al nord, che hanno avuto la opportunità di con-dividere da bambini la Processione e la Resurrezione a Cerveteri.
«Difficile trovare termini non banali. Sicuramente venendo da su la sensazione è sempre stata quella di qualcosa di esotico nel senso di lontana nel tempo e nello spazio. Un’atmosfera anche molto “magica” ed evocativa, molto reale nell’essere una rappresentazione. Non c’era ostentazione o cura della forma ma paradossalmente era molto accurata perché più che essere rigorosa nella ricostruzione era rigorosa nella partecipazione. Aveva il senso di evocare la Morte di Cristo e basta. E credo che chi partecipava lo facesse per spirito religioso anche rudimentale e basso ma sentito».
Altra più sull’intero periodo pasquale:«La sensazione che dominava, per un bambino del nord, era quella di un mistico ritorno alla vita dopo il buio ed il freddo della Pianura Padana, la luce forte che si rifletteva sul tufo, l’aria leggera, la sacralità della Pasqua.Una umanità vibrante racchiusa tra la meravigliosa estetica del tufo e la quiete magica della Banditaccia. Il tutto sotto lo sguardo, invisibile ma sempre presente degli Etruschi»