LA PRINCIPESSA TRISTE E LA SANTA DI CALCUTTA

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La giovinezza non si arresta, ma si può solamente ritardare la vecchiaia.

di Antonio Calicchio

L’immortalità – si sa – non appartiene a questa terra; ed infatti, il decadimento, fisico e mentale, è inscritto nell’ineluttabile ed universale ordine della natura: ius naturale est quodnatura omnia animalia docuit, recitano le fonti romanistiche. La giovinezza non si arresta, ma si può solamente ritardare la vecchiaia. A parere dei nostri antichi, esiste in noi un calore vitale che gradatamente viene spegnendosi. La cultura greco-romana rappresentava la fuga dell’anima con una leggera farfalla, o una colonna spezzata: si tratta dell’attimo nel quale qualcosa se ne va, irrimediabilmente e definitivamente.

Nessuno vorrebbe che la sua giornata quaggiù terminasse mai, anche per questa fondamentale ragione ci si ripara nella fede. E’ noto che il cristianesimo riposa sulla resurrezione, è una battaglia contro l’evento della morte che è un accadimento irreversibile e irreparabile, ossia è ciò che di più grave possa essere riferito alla persona umana. Ed infatti, il Vangelo narra il portentoso risveglio di Lazzaro e del giovane figlio del centurione, garantendo la vita eterna.

Ma cosa si sente, cosa si affronta allorché il momento del congedo arriva? Tormentoso interrogativo di sempre, risposta di mai.

In questi giorni, si ricordano due ricorrenze: la morte di Lady Diana e quella di Madre Teresa, avvenute, rispettivamente, il 31 agosto e il 5 settembre, del 1997.

Non sempre le fiabe principesche hanno un lieto fine. Quella di Lady Diana, principessa del Galles, era ormai divenuta una sigla: Lady Di, un personaggio della modesta società mondana e della cronaca rosa, perseguitata da una sorte tetra e dai fotoreporter.

Un suo bacio valeva, nell’ambito del mercato degli scoop, un miliardo di lire. La storia umana pare essere contrassegnata dagli “scatti” fatali: il medico di fiducia filma l’agonia di Pio XII e organizza un’asta.

Rimangono, così come aveva previsto Faruk, unicamente i re delle carte e quello d’Inghilterra: Carlo III, sovrano degli anni venti del Duemila, nel 1996, divorzia da Diana e, nel 2005, sposa quella matura signora, odiernamente regina consorte, alla quale confidava, in una intercettazione telefonica, poiché è un romantico: “Vorrei essere il tuo Tampax”.

Se ne andò Diana, quella moglie non amata, una brava signorina di buona famiglia che probabilmente aspirava, assai più che alloggiare nel castello di Windsor, in cui serve un completo da equitazione al mattino, un vestito da pomeriggio per la colazione, la gonna per il tè e la sera si pranza in “lungo”, una esistenza calma da moglie agiata. Probabilmente non era preparata a quel ruolo: a quel marito che si interessava di storia e archeologia, che sapeva comandare un dragamine e pilotare un jet, suonare il violoncello, che prediligeva Bach ai Beatles; Diana concluse degnamente la sua missione e morì a causa di un banale sinistro stradale, a Parigi, così come una qualsiasi sfortunata automobilista del pianeta.

Madre Teresa, fondatrice dell’Ordine religioso delle Missionarie della Carità e Premio Nobel per la Pace, oggi Santa Teresa di Calcutta, canonizzata da Papa Francesco, nel 2016, venne omaggiata da numerosissime corone di fiori bianchi alle sue esequie. Sembrava, guardando la televisione, di avvertire il profumo dei gelsomini. E il pensiero correva immediatamente all’India: quella dei maragià, che ormai non esistono se non nei romanzi, e quella dei miseri che si incontrano all’alba distesi sui marciapiedi, mentre i corvi provvedono a pulire le vie.

Santa Teresa dette alle persone anche la carità di un sorriso, incoraggiando la vita e rendendo pietosa la morte. Il mondo si inchinò al cospetto di questa serva di Dio e dei poveri che rimane una figura memorabile nelle vicende del Novecento.

Così come madame Curie nella scienza, Golda Meir nella politica, Virginia Woolf nella letteratura, la Duse nel teatro di prosa, la Callas nel melodramma.

Madre Teresa e Diana, la Santa e la Principessa, due donne dotate di uno stesso animo rivolto, con completa dedizione, agli ultimi fra gli ultimi, agli emarginati fra gli emarginati, ai bisognosi fra i bisognosi, dispiegando al massimo le loro energie e capacità; due donne unite da un misterioso legame che San Giovanni Paolo II definì “provvidenziale”, data la inestinguibile carica di luce e carità che esse irradiarono, la cui morte sconvolse davvero intensamente nel profondo la vita del mondo intero.