di ANTONIO CALICCHIO
Culto della giovinezza, idolatria dell’intelligenza, ossessione della crescita economica e del mercato, tirannia della moda, della tecnica, del potere: si tratta di alcuni dei miti d’oggi, ingannevoli e falsi, che in realtà sono “idee malate”, non percepite come tali, che pervadono e plasmano individui e società. Quelle idee che la pubblicità e i mass media propongono come valori e impongono come pratiche sociali. I miti sono idee che posseggono e governano l’uomo con mezzi che non sono logici, bensì psicologici, e, quindi, radicati nel profondo dell’anima; sono idee mitizzate, perché non danno problemi, facilitano il giudizio, rassicurano. Eppure, occorre risvegliarsi dalla quiete apparente delle nostre idee mitizzate, perché molte sofferenze e molti malesseri scaturiscono proprio dalle idee che, comodamente accovacciate nella pigrizia del pensiero, non permettono più di capire il mondo in cui viviamo. Mondo che è attraversato da quella situazione in cui i valori hanno perso il loro valore, in cui ciascuno è schiavo della tecnica. Ma se la nostra epoca è quella della negazione di ogni valore, ciò è perché il nichilismo – definito da Nietzsche “il più inquietante fra tutti gli ospiti” – si aggira tra le esistenze umane, penetra nei sentimenti, confonde il pensiero, cancella prospettive ed orizzonti, fiacca l’anima, intristisce le passioni, rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano e la scuola non sa più cosa fare: soltanto il mercato conduce sulla via del consumismo in cui ciò che si consuma è la stessa esistenza, che non riesce a proiettarsi in un futuro tale da far intravedere una qualche promessa. Da ciò origina quel disagio, che non è psicologico o esistenziale, ma culturale, in cui la “ragione strumentale”, vale a dire la tecnica, garantisce sì il progresso, ma non un ampliamento dell’orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e l’aridità del sentimento. La tecnica non tende ad uno scopo, non produce senso e non rivela verità, ma essa svolge un unico compito: cioè funziona. Finiscono, così, a margine i concetti non solamente di persona, identità, senso, libertà, ma anche di natura, morale, politica, diritto, religione, storia, di cui si è alimentata l’età pre-tecnologica. E chi più sconta l’assenza di futuro, che modella l’età della tecnica, sono i giovani, contaminati da una profonda insicurezza, condannati ad una deriva della vita che coincide con il loro assistere allo scorrere del tempo in terza persona. Ma si può mettere alla porta l’ospite inquietante? Sì, se si acquisisce quella che i Greci chiamavano “l’arte del vivere”, che consiste nel riconoscere le proprie capacità, le proprie virtù e nel vederle fiorire secondo misura. Se, attraverso il nichilismo, si riesce a compiere questo passo, ossia di prendere coscienza, incuriosirsi e innamorarsi di sé, l’ospite inquietante non è passato invano.