LA MORTE DI UN FIGLIO

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lutto

Gli esseri umani sono gli unici esseri viventi che hanno la consapevolezza che prima o poi arriva la morte.

Inoltre, gli esseri umani sono gli unici esseri riescono a costruirsi fin da piccoli l’idea della morte, anche non avendone mai avuto esperienza. Intorno ai 3-4 anni il bambino definisce la morte come un sonno profondo; con la crescita il bambino dà alla morte un carattere di irreversibilità. Ripeto, tutto senza avere avuto l’esperienza diretta della morte.

L’aspettativa naturale della vita fa sì che siano le persone anziane a morire prima dei giovani. Quindi, in ordine, i nonni, i genitori, poi i figli ma tutti arrivati ad una certa età. Ciò che è innaturale è che il figlio muoia prima del genitore. Più il figlio è piccolo, più innaturale diventa la morte. La morte di un figlio lascia i genitori devastati, qualunque ne sia il motivo.

Le reazioni al lutto del figlio sono individuali e personali e nessuna reazione deve essere giudicata. Pochi sono i genitori che dopo la morte del proprio figlio riescono a farsi aiutare per elaborare questa gravissima ferita perché, in fondo in fondo, pensano che non si meritino di stare meglio/bene. Il senso di colpa è imperante. Il vuoto è incolmabile.

Tutti i progetti per il futuro sembrano essersi dissolti e volati via con il figlio. Viene troncato tutto ciò che, implicitamente o esplicitamente, si progettava per il futuro. Sì, perché quando una coppia ha un figlio, è naturale che si facciano programmi proiettati nel futuro, non solo per la coppia ma anche per il figlio.

La coppia inizia a non avere più un tempo, non riesce più a vedersi nel passato, nel futuro ma neanche nel presente. Esiste solo il dolore, un dolore indescrivibile. La casa e la vita della coppia si bloccano, i giorni, i mesi e gli anni vanno avanti solo in modo esterno ai genitori ma dentro di loro il tempo è fermo. Molte coppie lasciano intatta la cameretta del figlio come era nel momento della sua morte; molte coppie preparano la tavola con il piatto per il figlio.

La morte di un figlio è uno dei più gravi traumi da lutto che un adulto possa provare. E spesso questo trauma rimane irrisolto. Emergono spesso i sensi di colpa “avrei potuto fare di più”. Emerge la rabbia verso il destino o verso Dio. Emerge la negazione della morte e il fare “come se” il figlio fosse ancora vivo (un padre di un figlio morto per incidente stradale ha continuato a tenere viva la sua pagina Facebook al posto del figlio).

Altre coppie, invece, cercano di avere un altro figlio che sostituisca quello morto e, spesso, lo chiamano con lo stesso nome. Il lutto e la cristallizzazione del dolore, spesso, coinvolgono anche gli altri figli che non riescono ad elaborare la loro fetta di lutto, il loro dolore. Spesso, infatti, in modo implicito ed inconscio, gli elementi della famiglia tendono a consolidare il loro legame non elaborando il lutto, come se l’elaborazione fosse un “tradimento” e un “dimenticarsi” del fratello. Questi sono tutti meccanismi inconsci.

I genitori che accettano di fare un percorso di psicoterapia per elaborare il lutto, accettano di patteggiare con questo immenso dolore, accettano di non farsi più travolgere. Elaborare il lutto del figlio non vuol dire dimenticarsi del figlio, non soffrire più. Il genitore che richiede aiuto per elaborare il lutto ha bisogno di sentirsi accolto e compreso in tutto.

psicologia giuridica
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
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