SECONDA PARTE
Nella 1°parte di questo articolo ho introdotto l’argomento per come ne ha parlato John Bowlby, dicendo che lui propone 4 modelli di interazione familiare che porterebbero a queste due sindromi e ho descritto il primo di essi, il Modello A.
Brevemente, questo modello sostiene che la madre del bambino con fobia scolastica o agorafobia soffra di angoscia cronica per ciò che concerne le proprie figure di attaccamento e trattiene il figlio a casa perché gli faccia compagnia. C’è in questo caso un’ inversione dei ruoli di accudimento ed il bambino viene investito del compito di prendersi cura del genitore. Ora vedremo gli altri scenari proposti da Bowlby.
Modello B: il bambino teme che qualcosa di male possa accadere alla sua principale figura di attaccamento, solitamente la madre, mentre lui è a scuola (o comunque via) e rimane a casa per impedire che ciò accada. Sembrerebbe che nelle famiglie in cui si palesa questo modello comportamentale vi siano le minacce di un genitore che allarma il figlio dicendo che non solo lo abbandonerà, ma che si ammalerà se il bambino non fa quello che gli viene chiesto. Oppure il genitore è solito dire che se ne andrà di casa o si ucciderà visto che in famiglia “è tutto così orrendo”.
Il bambino potrebbe anche aver assistito alla morte di un parente, o avrebbe potuto sentirne parlare e potrebbe temere che qualcosa di grave possa accadere anche alla madre. Ciò che caratterizza questo modello familiare sono i tentativi di nascondere al bambino la gravità della malattia di un genitore o la verità sulla morte di un parente. Insomma sarebbero i tentativi di nascondere la verità a produrre un aumento dell’angoscia. Il rifiuto di andare a scuola viene registrato in concomitanza di questi eventi, di minacce/o di dissimulazioni da parte di un genitore; in concomitanza quindi con eventi realmente accaduti. La teoria dell’attaccamento (di cui Bowlby è il principale ideatore ed esponente) fa notare come sia etologicamente naturale non volersi allontanare dalla propria madre quando si ritiene che sia malata o si sia saputo della morte di un partente o di un amico, per l’attivazione della paura della sua perdita. Modello C: il bambino teme che qualcosa di male possa accadere a se stesso quando è fuori casa e perciò resta a casa per evitare che ciò si verifichi. Anche in questo modello le minacce, più o meno velate, dei genitori sono all’origine del sintomo. Ma qui il genitore non minaccia il figlio di volersi suicidare, quanto di volersi liberare di lui se non si comporta bene. Per lo più si tratta di genitori che a loro volta hanno subito minacce di abbandono. Dalla letteratura riportata da Bowlby emergono casi di ragazze madri che cercano di tirar su i figli da sole e che, nei momenti di forte stress in cui sono ansiose ed angosciate, manifestano, in presenza dei figli, l’idea di liberarsene, suscitando in questi angosce più che giustificate e sintomi fobici come il non voler uscire di casa. Modello D: la madre teme che qualcosa di grave possa accadere al figlio mentre è a scuola e perciò lo tiene a casa. Anche per questo modello di funzionamento familiare Bowlby mostra l’incidenza di esperienza tragiche reali del passato (aver perso un figlio prima del figlio attuale che sviluppa la fobia scolastica, o un fratello in età adolescenziale) che possono aver reso un genitore particolarmente apprensivo per la salute del figlio.
Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta
Psicoterapie individuali, di coppia e familiari
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