L’idea comune delle persone è quella che fare un percorso di Psicoterapia vuol dire ricordare momenti tristi e problematici della propria vita. Per questo motivo molte persone evitano. Ricordo che il malessere psicologico è pari al malessere fisico.
In effetti, però, questa prospettiva è vera: si va dallo Psicoterapeuta quando si ha una sofferenza; quando la persona ha necessità di elaborare determinati vissuti, di riprendere in mano la propria vita a ritroso e darne un nuovo significato. Per questo motivo, il sintomo (attacchi di panico, disturbi sessuali, o altro) durante il percorso di Psicoterapia assume un altro significato: una genialità del sistema corpo- mente per affrontare delle difficoltà, un disagio, una serie di problematiche.
Questa soluzione geniale, però, ad un certo punto è diventata disfunzionale e anziché risolverli, creava ed alimentava problemi. È probabile, quindi, che quando si fa il percorso di Psicoterapia, ci siano dei momenti difficili, in cui si sta male nel rievocare determinati vissuti. Questa, però, non è una regola. Solitamente, quando questo succede, succede in una prima fase.
C’è una fase successiva, invece, dove la persona porta sempre più frequentemente eventi tranquilli, sereni e ha un atteggiamento più rilassato, più sorridente, lo sguardo è più vivo e luminoso. In questo periodo si iniziano a fare dei primi confronti con il prima e l’adesso, invitando a ricordare e riflettere su come si sente ora rispetto al passato recente. Alle volte, la persona non è ancora consapevole del suo miglioramento e riferisce di non essere ancora cambiata (il corpo, però, parla prima della mente). Altre volte, invece, la persona racconta di come inizia a sentirsi bene ma “quasi a bassa voce”
per paura che questo iniziale benessere fugga. Questo è un periodo molto delicato ed importante del percorso Psicoterapico perché può capitare che ci siano delle “ricadute” e che la persona temi di tornare indietro. Nel frattempo, però, sono comparse altre modalità e/o risorse che la persona può iniziare ad usare insieme allo psicoterapeuta. In questa fase, che viene chiamata “centrale”, la persona inizia a darsi delle risposte da sola e a non rimandare allo psicoterapeuta il confronto. Si dice che la persona abbia introdotto il “terapeuta interno”: in pratica, si chiede “cosa direbbe ora lo psicoterapeuta?” e si dà l’ipotetica risposta. Bene. Tutto ciò porta all’avvio dell’ultima fase della Psicoterapia, ossia il raggiungimento dell’autonomia e dell’autoaffermazione.
Piano piano gli incontri diluiscono e si fanno gradualmente più lontani (si passa da un incontro una volta a settimana, ad uno ogni 15 giorni, a tre settimane fino ad un mese e più). L’ultimo incontro conclusivo, a mio parere, è l’incontro più bello: la persona è consapevole del suo cambiamento, delle sue risorse e di ciò che è ora. Ha praticamente poco da dire ma il corpo parla molto di più. È molto commovente dire alla persona “ora può tranquillamente andare avanti da sola” e vederla confermare con le parole e con il corpo.
Si è fatto un ottimo lavoro di squadra, di aiuto reciproco “lei mi ha aiutato ad aiutarla raccontandomi cose molto importanti della sua vita e permettendomi di inserire delle tesserine alternative. Se ciò non fosse successo, anche le magie non sarebbero servite a nulla”. Ci si saluta con la consapevolezza che la persona ora ha un ventaglio ricco di soluzioni tra cui può scegliere, non solo una.