“Io darei tutta la Montedison per una lucciola” Pier Paolo Pasolini.
di Angelo Alfani
Nelle settimane che hanno seguito il ritorno alla vita normale abbiamo assistito ad un vero e proprio assalto a negozi e vivai per accaparrarsi piantine per “fare l’orto”. L’isolamento vissuto, la paura di poterci ritornare con il timore di ritrovarsi scaffali vuoti, l’innegabile surplus di tempo a disposizione è come se avessero iniettato nel codice genetico dei più la necessità del ritornare a fare i contadini.
Sollecitati da una campagna di stampa perlomeno fuorviante, ad estate iniziata, si sono cominciati a vedere pomodorini penduli che “arrossavano” balconi di palazzine misti al giallo aranciato dei fiori di zucca, terrazzi condominiali verdi quanto Kensington Gardens, per la scarola, il cicorione, lattuga e canasta. Per tacere poi delle mini serre in plastica che invadevano mozzichi di giardini, rubando spazio ad altalene, tricicli e toilette per i cuccioli e mici. La parola d’ordine era dal produttore al consumatore, tradotta nel gergale: “che voi mette cor magnasse la robba mia!”
Ognuno si prodigava a produrre quanto consumava: insomma un primo ma fondamentale passo per raggiungere la società prefigurata da Carlo Marx “ da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni” . Un ritorno ad un mondo fantasticato dei propri bisnonni, durato il tempo della prima salassata per la bolletta ACEA post innaffiate, e dopo aver preso atto che “l’orto vuole l’uomo morto” come ben sanno i già vaccinati, e nessuno oggi vuole morire appresso a melanzane e peperoni. Che siano altri a morire raccogliendoli nelle piane ad agricoltura industrializzata. Un poeta francese, Charles Péguy, ha scritto che “la civiltà contadina è il più grande avvenimento delle storia, dopo la nascita del Cristo”. La fine di quel mondo è il corrispettivo dell’Olocausto, della morte di Cristo sulla croce per proseguire con il ragionamento di Peguy. “Lo scontro tra civiltà non avviene sul piano dei valori, ma della forza (economica).
Il mondo contadino era più buono, più ricco di virtù; ma era povero, ed è stato spazzato via. Adesso bisogna recuperare qualcuno dei suoi valori. La solidarietà anzitutto. Se in un paese di campagna qualcuno era malato, tutto il paese lo sapeva. Se in un condominio di città qualcuno si ammala e muore, nessuno lo sa” afferma lo scrittore Ferdinando Camon. In una lunga intervista del 2013, a cura di Renzo Montagnoli, lo scrittore, nato in un paese della campagna veneta, così descrive la fine di quel mondo:“Con la fine della civiltà contadina morivano un tipo di famiglia, una religione, un’idea di lavoro e di risparmio, un’idea di Dio, di morte e di dopo-morte: i pilastri che sorreggono la civiltà.
Io ero nato nel cuore di questa civiltà, e la vedevo funzionare intorno a me; non avevo la visione, la sensazione, che sarebbe sparita di lì a poco.
Scrivendo “Il Quinto Stato” e “La vita eterna” ero convinto di descrivere forme di lavoro, di fede, di culto dei morti, paura del diavolo, autorità dei vecchi, che avrebbero condizionato tutta la mia vita e poi quella dei miei figli. Era una civiltà arretrata, isolata e separata. Chi viveva dentro quella civiltà non conosceva la civiltà opposta, della tecnica, dei consumi, delle città e del divertimento: la scoperta di questa civiltà arrivò con la radio e poi la televisione.
Le campagne guardavano incantate specialmente la pubblicità, specialmente la striscia pubblicitaria chiamata “Carosello”: lì vedevano i bagni con le piastrelle, il sapone profumato, l’acqua in casa, le biciclette col motorino. Fu una rivoluzione. La civiltà contadina era più umana, più solidale, più cristiana della civiltà borghese, dei consumi, che irrompeva nella storia: ma il confronto fra civiltà non avviene sul piano dei valori, avviene sul piano della forza, soprattutto economica. La civiltà urbana e borghese era enormemente più forte della civiltà contadina, e la spazzò via. Adesso nelle campagne non ci sono più contadini. Ci sono industriali della terra, allevatori, frutticultori. Nella civiltà contadina, l’uomo lavorava la terra con le mani o con gli animali. Oggi la lavora con le macchine. La civiltà che credevo eterna è morta. Il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale non è stato un viaggio verso una condizione più umana, più buona, più etica. Come dicevo, la civiltà contadina aveva più virtù, più valori.
Ma è stato un viaggio verso un maggior benessere. Nessuno, tra coloro che han vissuto nella vecchia civiltà, vorrebbe tornare indietro. E io appartengo a loro. Pasolini ha confessato la sua nostalgia per la civiltà che finiva, e il suo rifiuto della civiltà che avanzava, in un articolo famoso, noto come “il discorso delle lucciole”, perché terminava con la frase: “Io darei tutta la Montedison per una lucciola”. Voleva dire che una lucciola è la bellezza, la Natura, gli animali, i prati, l’erba, il dialetto, mentre una fabbrica è il cemento, lo sfruttamento, l’operaio, il padrone, il sindacato, la macchina: l’artificiale al posto del naturale. E’ vero, è così. Ma una fabbrica vuol dire anche stipendio, termosifoni, acqua corrente, qualche soldo, fine delle malattie della povertà.
Nessun ex-contadino diventato operaio è d’accordo con Pasolini. E’ stato giusto uscire dalla povertà, perché la povertà era malessere. Noi siamo passati dal malessere all’alienazione, ma il rimedio non sta nel tornare indietro, ma nell’andare avanti. La Storia funziona così”.