La figura dell’avvocato nella Costituzione: svolta per il “giusto” processo

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di Antonio Calicchio

Il ruolo dell’avvocato nella giurisdizione: tale è il titolo della Tavola Rotonda, programmata alla “Sessione Ulteriore”, del XXXIV Congresso Nazionale Forense, a Roma, nei giorni 5 e 6 aprile 2019, nell’ambito del Consiglio Nazionale Forense, presso il Ministero della Giustizia.

Un argomento che rimanda alla modificazione della Costituzione con cui verrebbe sancito il riconoscimento costituzionale della figura dell’avvocato. Riconoscimento che il governo potrebbe proporre, mediante un disegno di legge, nei prossimi giorni, e che rafforzerebbe il “ruolo della giurisdizione per la tutela dei diritti dei cittadini”, per citare l’oggetto delle assise di Roma. Si tratta di un richiamo ad una più intangibile dignità della funzione del difensore che avrebbe riflessi – graduali, ma ineluttabili – anzitutto, sul piano dell’effettività del diritto di difesa e, quindi, della parità tra le parti nel processo. Per questo, tutelare l’avvocato vuol dire proteggere il sistema della giustizia e l’autonomia degli stessi magistrati.

La Costituzione detta i principi, la cui attuazione concreta e tangibile, dal punto di vista giurisprudenziale e legislativo, potrebbe richiedere tempi lunghi. Come potrà avvenire anche in materia di riconoscimento costituzionale dell’avvocato e del suo ruolo.

Ed infatti, il tema inerente alla funzione dell’avvocato nella democrazia determinerà una modificazione della Costituzione attraverso una legge costituzionale che il governo potrebbe presentare nei prossimi giorni e che scolpirebbe due principi essenziali: imprescindibilità dell’avvocato nel processo, in vista della effettività della tutela dei diritti e dell’inviolabilità del diritto di difesa, richiamate al primo comma nella versione del testo al momento più accreditata; e posizione di libertà, autonomia e indipendenza nella quale l’avvocato, sulla base del secondo comma di quel testo, esercita la propria attività professionale.

Il tutto permetterebbe di attenuare lo squilibrio esistente in favore del pubblico ministero nel processo penale. Ma secondo tempi e gradualità che andrebbero presi in considerazione. Del resto, già oggi, la professione di avvocato riveste una sua rilevanza nella Costituzione, consustanziale com’è all’art. 24 sul diritto di difesa. Non par dubbio che riconoscere – espressamente e specificamente – il ruolo dell’avvocato rappresenterebbe sia una proiezione del principio del giusto processo, che una nobilitazione della figura dell’avvocato, con effetti sotto il profilo processuale. È pur vero che il suo ruolo è, oggi, segnalato dalla presenza nella Corte costituzionale e nel Csm, e al vertice della giurisdizione, così come è palese che un richiamo preciso accrescerebbe siffatto peso. Ma è altrettanto vero che le conseguenze non sarebbero unicamente queste. Le modificazioni costituzionali ne producono sempre, e su diversi livelli. Basti pensare al richiamo alla “effettività della tutela dei diritti” inserito nel testo intorno al quale, finora, si è dibattuto: richiamo che potrebbe tradursi, ad es., in una maggiore severità dei criteri per l’accesso alla professione e di quelli per la verifica delle condotte sotto l’aspetto disciplinare. Aspetto che chiama implicitamente in causa il rilievo dell’istituzione forense.

Ed infatti, l’onere di accertare l’effettiva qualità di ciascun difensore ricadrebbe in capo all’organo rappresentativo dell’autonomia dell’avvocatura. Un eventuale rinvio al principio della “effettività” genererebbe anche un’altra conseguenza. Quella stessa ipotesi di modificazione consente casi straordinari in cui sarebbe possibile prescindere dal patrocinio, casi già attualmente previsti, a date condizioni, nelle cause presso il giudice di pace, in ambito amministrativo o tributario. Ecco, in tali circostanze potrebbe individuarsi la possibilità, per lo stesso giudice, di intervenire ex officio, laddove non vi sia un difensore, con un ruolo supplente, ad es., con la richiesta di prove. E avremmo ancora ulteriori riflessi dalla affermazione dell’autonomia, indipendenza e soprattutto “libertà” dell’avvocato.

Principi, questi, non solo di grande valore di civiltà giuridica, ma anche portatori di effetti per casi particolari, qual è, ad es., la condizione degli avvocati degli Enti pubblici. Si dovrebbe arrivare a far discendere, da una loro “libertà” costituzionalmente statuita, anche una possibile obiezione di coscienza, in quelle ipotesi in cui il professionista ritenga che il caso assegnatogli dall’amministrazione sia indifendibile. Certo, si tratta di un aspetto particolare, dovuto alla necessità, avvertita talvolta dagli Enti, di definire direttive per i loro uffici legali che contrastino con orientamenti giurisprudenziali prevalenti, come nei contenziosi relativi al codice della strada.

Ma – come detto – gli effetti più profondi di una simile riforma si avrebbero in tempi più distesi poiché si tratta di una norma che in primis nobiliterebbe la professione legale. In tal modo, in prospettiva, le attribuirebbe maggior rilievo nel contraddittorio col pm, in ambito penale. Oggi, i magistrati dell’accusa vantano diverse prerogative nei confronti della difesa.

Pensiamo a cosa è accaduto da quando si è introdotta la nozione di “paesaggio”: il suo rilievo costituzionale, inizialmente, non era ritenuto portatore di conseguenze particolari sul piano legislativo. Poi, è emerso come la stessa bellezza naturale costituisca un bene pubblico meritevole di una materiale tutela, sebbene il principio talvolta sia tradito dalle singole scelte.

E così come una disposizione che incide sul paesaggio, nel dubbio, è interpretata ora in maniera da tutelare tale bene, allo stesso modo il riconoscimento del ruolo costituzionale dell’avvocato andrebbe tenuto in conto. Si pensi ai problemi posti dai casi di mancata comunicazione o notifica, o di rinuncia: se implicano una lesione del principio dell’effettività della tutela, allora con la modificazione costituzionale in questione sarebbero risolti in chiave favorevole alla difesa.

Pertanto, autonomia e indipendenza dell’avvocato garantirebbero meglio anche quelle del magistrato. Il sistema giurisdizionale è costituito dai giudici stricto sensu, ma, lato sensu, coinvolge anche gli avvocati. Ora, la magistratura ha tutto l’interesse a che vi sia una professione forense colta, preparata e disponibile. E, a maggior ragione, tale sarebbe, l’avvocatura, a seguito del riconoscimento costituzionale del proprio ruolo.

Salvaguardare, dunque, l’avvocato significa promuovere l’interesse al buon funzionamento della giustizia: interesse tanto per il magistrato, quanto per la società tutta.