Negli ultimi periodi molte sono le persone che raccontano di essere state abusate sessualmente (anche ripetutamente) nell’età infantile da un parente stretto (padre, nonno, zio, fratello, ecc.) o da un amico stretto di famiglia oppure di essere state il/la confidente o di aver assistito un abuso sessuale in età infantile.
Molto spesso l’abuso viene tenuto nascosto dalla vittima per varie motivazioni, tra cui la vergogna. Altre volte, invece, la vittima o il confidente, al momento dell’abuso, ha raccontato l’accaduto ad un famigliare (solitamente la madre) ma si è sentita rispondere “fai come se non fosse successo nulla”, “te lo sarai immaginato”, “non ci credo XX che abbia fatto questo” con la conseguenza che lo stesso adulto non ha fatto nulla per impedire che non succeda oppure non ha fatto nulla per impedire che il minore venga in contatto con l’adulto abusante.
Cerchiamo di analizzare tutti questi eventi.
1) l’abuso in età infantile è un grave evento traumatico (e la gravità aumenta se è reiterato); infatti, Secondo l’American Psychological Association, l’abuso infantile è “un danno a un bambino causato da un genitore o da un’altra persona che se ne prende cura. Il danno può essere fisico (violenza), sessuale (violazione o sfruttamento), psicologico (causa di stress emotivo) o di negligenza (carenze nelle cure necessarie)”.
L’abuso sessuale si verifica nel momento in cui il bambino viene coinvolto in un comportamento sessuale da parte di un adulto o una persona più grande di lui, che abbia potere, autorità o che sia addetto alle sue cure. Le conseguenze dell’abuso sessuale è una gravissima compromissione dello sviluppo psicologico, sociale ed affettivo del bambino che può portare a comportamenti caratterizzati da paura, ansia, depressione, rabbia, aggressività, tentativi di suicidio, bassa autostima, atteggiamenti negativi verso futuri rapporti sessuali, senso di colpa, gravidanze non desiderate, paura per l’incolumità personale, disadattamento sociale (Wyatt & al., 1992).
L’abuso sessuale perpetrato da una persona che avrebbe il compito di proteggere ed accudire il minore, gli crea confusione e una grave destabilizzazione (il bambino non sa se volergli bene o averne paura; l’adulto abusante, gli fa del male ma dice di amarlo).
Qualora un altro adulto di riferimento gli neghi protezione dicendo “fai come non fosse successo nulla” e gli imponga di continuare ad avere contatti con l’abusante, provoca nel bambino:
a- ulteriore confusione,
b- mina gravemente la sua autostima che inizia a credere di essere sbagliato, solo e indifeso,
c- pone le basi per una grande diffidenza nei confronti degli altri. Purtroppo l’evidenza clinica fa emergere degli scenari famigliari altrettanto gravi:
1) solitamente nella famiglia in cui una persona abusa del minore è una famiglia in cui, spesso, gli adulti hanno avuto nella loro storia episodi di abusi (di vario tipo);
2) spesso è una famiglia “per bene”;
3) spesso è una famiglia in cui tutti sanno tutto ma nessuno dice/protegge (spesso la moglie dell’abusante sa cosa succede ma fa finta di non sapere);
4) chi fa emergere il malessere diventa “lo strano della famiglia” il “capro espiatorio” e viene allontanato. Si parla di famiglia abusante perché, oltre all’abuso vero e proprio, emergono:
1) trascuratezza della gravità dell’abuso,
2) l’incapacità di identificare le emozioni manifestate dal minore (paura);
3) l’incapacità di capire ed accogliere i bisogni del minore;
4) la mancanza di protezione del minore abusato.
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