PAOLO BORGOGNONE: “LEGGERLO E DIVULGARLO È UN ATTO DI GIUSTIZIA SOCIALE”
di Barbara Pignataro
Diego Siragusa è l’autore del libro La Censura di Facebook agli ordini dei sionisti. É considerato uno dei più importanti e rinomati studiosi sul piano nazionale del fenomeno sionista in tutte le sue sfumature ideologiche e politiche. Il suo libro è stato definito da Paolo Borgognone, che ne ha curato la prefazione, una cassetta degli attrezzi utile per comprendere a fondo i meccanismi di controllo sociale e di intimidazione politica posti in rete dal sistema americano. E, arriva in libreria in una fase storica caratterizzata dalla dichiarazione che chiunque denunci la barbarie perpetrata in Palestina è antisemita.
Tempo fa l’autore ha tradotto un libro uscito in Germania dalla penna di Hulfkotte dal titolo Giornalisti Comprati. “Ebbene se i giornalisti sono comprati, lo sono per dire menzogne, per alterare la verità e, l’opinione pubblica falsamente informata, diventa un bestiame da dirottare per progetti politici o geopolitici di grandi gruppi. Una vera e propria manipolazione di massa. Poteva uno strumento potente come Facebook essere esente da un’azione come questa? La censura è diventata uno strumento formidabile per orientare le opinioni, il senso comune di masse sterminate di persone.
Oggi l’informazione si può ancora considerare autorevole?
L’autorevolezza dipende molto spesso dalla dimensione di ascolto che hanno alcuni strumenti. Facebook dal momento in cui mobilita miliardi di persone censura.
Perché “agli ordini dei sionisti?
Il libro parte dalla mia battaglia per i diritti del popolo palestinese, per avere identificato nel sionismo un’ideologia malefica che controlla l’informazione, la carta stampata, la finanza, il cinema, e quindi orienta anche i governi. Il giornale inglese The Independent, ha pubblicato la fotografia della ministra Ayelet Shaked che firma un contratto con i dirigenti di Facebook nel cui contratto si impegnano a cancellare le notizie in cui Israele compare male. Dove commette dei crimini.
Quindi chiunque in questo momento esprime il suo dissenso verso le brutalità perpetrate in Palestina è considerato antisemita?
Si. C’è una storia della parola antisemita. Dopo la denuncia, alla fine della seconda guerra mondiale, della Shoah, quindi dell’eliminazione di milioni di ebrei, si è parlato ed è diventato senso comune identificare l’antisemitismo con gli ebrei. Ebbene, è una parola a doppio taglio, non bisogna dimenticare che il popolo più semita in termini numerici è il popolo arabo quindi dare dell’antisemita a chi difende gli arabi è una contraddizione. I sionisti hanno cercato di impossessarsi anche delle parole, la parola antisemita usata in modo sproporzionato addirittura in modo spregevole serve a dire: ecco questi sono dalla parte di coloro che ci hanno massacrato, quindi dalla parte del torto. In realtà non è così.
Non c’è un’autorità che controlla quanto accade nel mondo?
Siccome Facebook è una società estera, in Italia dicono che non abbiamo diritto di intervenire ma esiste una sentenza di Pordenone, che cito nel libro, che li condanna. Il sistema è divenuto pericoloso. Basta pensare al fatto che possono alterare i dati di una elezione e tutta la questione su Cambridge Analitica che diceva che dei politici si sono appoggiati a Facebook per conoscere gli indirizzi di opinione dei cittadini. Come? Tutti noi siamo presenti sulla piattaforma dunque riescono a profilarci tutti. Possono in campagna elettorale indirizzare appelli precisi che arrivano a meta: ci indirizzano verso ciò che vogliono.
“E la mia domanda è: è questo che vogliamo? Lasciarli andare via e sedersi a giocare con i nostri telefoni, finché non cala questa oscurità?”
Intervista completa