Torna alla ribalta il tema della legalità con il nuovo libro di don Luigi Merola che apre nuovi orizzonti per la lotta alla criminalità organizzata
di Antonio Calicchio
E’ stato presentato, di recente, il nuovo libro di don Luigi Merola, dal titolo “La Camorra Bianca”; libro che ha già suscitato ampio dibattito, in occasione delle varie presentazioni, avvenute in diverse parti d’Italia.
Si è trattato di un evento tanto più significativo, e anche formativo, perché è stato vissuto insieme ai giovani, dell’Istituto Omnicomprensivo di Camerota, giovani che sono protesi sul grandioso percorso della conoscenza e del sapere, e che, attraverso la scuola, si affacciano sull’orizzonte della storia, presente e futura.
Hanno partecipato, inoltre, le autorità politiche, civili, militari e religiose, che sono riuscite a garantire la loro presenza istituzionale in questa iniziativa, ammirevole e meritoria, in quanto strumento di mobilitazione delle risorse e delle idee, strumento di motivazione e di apertura di orizzonti diversi rispetto a quelli tradizionali.
Don Luigi Merola, che, da anni, è impegnato nel sociale, in forza della fondazione “A’ Voce d’e Creature”, ha fatto del contrasto alla camorra e, ancor più, dell’affermazione della legalità, un modus vivendi, una missione.
Don Merola, dopo aver pubblicato “Forcella tra esclusione ed inclusione sociale”, “Il cancro sociale: la camorra”, “Storie di bambini tra legalità e camorra”, “’A Voce d’e Creature”, “I bambini di Napoli”, si è proposto al giudizio dei critici e dei lettori che lo seguono ed anche di coloro i quali stanno “dietro le quinte” con questo volume, Edizioni Guida. Oltre a quello già detto nella prima parte della pubblicazione, don Luigi ha tentato di illustrare l’etimologia e la semantica del termine lessicale “camorra”, insieme all’evoluzione storica, sociale ed economica della mafia campana, che non è più quella romantica di fine ‘800.
Nel corso dell’evento, si è anche chiarito come si individua una associazione di tipo mafioso e, quindi, di stampo camorristico, soprattutto sotto il profilo del nostro ordinamento.
E si è spiegato che, al riguardo, il nostro codice penale, al noto art. 416 bis, prevede che un tale tipo di associazione debba essere formata da almeno 3 soggetti e debba fondarsi su due elementi principali: l’intimidazione e l’omertà. Ma a ciò si è aggiunto, durante il dibattito, anche un ulteriore fenomeno, quello della corruzione, cancro atavico, millenario, non solamente della nostra politica, ma anche della nostra società, ove si consideri che il reato di corruzione è stato elaborato ed introdotto da parte dei giuristi romani, nell’ambito del diritto dell’antica Roma, duemila anni fa, in cui il diritto costituiva la produzione culturale romana per antonomasia, una forma mentis, che strutturava il tempo, lo spazio, il linguaggio, la retorica, la letteratura, l’iconografia. Si è ricordato che lo scopo dell’associazione camorristica è quello di gestire o controllare attività economiche, finanziarie, concessioni, autorizzazioni, appalti, servizi pubblici, per realizzare profitti, vantaggi, guadagni ingiusti o per impedire la libera esplicazione del diritto di voto o per procurare voti a sé o ad altri, in occasione di consultazioni elettorali.
La camorra dei giorni nostri – ha proseguito don Luigi Merola – è una holding, una società per azioni con interessi di natura economica e finanziaria elevatissimi in altre regioni d’Italia, oltre che all’estero. Alla camorra, schedata negli archivi delle forze dell’ordine, egli ha contrapposto “la camorra bianca”. Quella, cioè dei “colletti bianchi”, degli insospettabili “doppi petti” omologati ai boss camorristici, rilevando i patti, scellerati e mefitici, tra il presunto perbenismo con i “capi” della camorra. Tuttavia, dal suo intervento traspariva una speranza, quella speranza cristiana di una svolta decisiva ed epocale per il recupero dei valori della giustizia, della legalità e della certezza del diritto. Però, non ha mancato di rimarcare la sua desolante e desolata solitudine in cui è stato abbandonato da coloro i quali l’avrebbero, invece, dovuto difendere e tutelare. “La Camorra Bianca” rappresenta una “indomita denunzia” di don Luigi Merola, con cui intende gettare luce sulle ragioni essenziali che sono alla radice della mala giustizia e di quella “camorra bianca”, appunto, che ha ridotto Napoli a cronaca nera.
In questa prospettiva, don Luigi ha posto in evidenza dei valori sia umani e cristiani, sia culturali del nostro Paese. Ed infatti, la cultura è un valore vitale, di ogni popolo. La cultura non deve essere rinchiusa nel ghetto di forme di vita privilegiate o di sistemi ideologici. E nell’attuale sovvertimento dei valori e nel generale disorientamento delle coscienze, è da sottolineare che la cultura non può essere esclusiva proprietà degli intellettuali, dei politici o degli addetti ai lavori. Anzi, persino, le forme più semplici di vita e i problemi esistenziali possono essere considerati, fatti culturalmente rilevanti.Per questo, la giustizia, la legalità, il diritto devono divenire principi fondamentali a garanzia della promozione e dello sviluppo della persona umana, in particolare, e della società, in generale, in vista della costruzione del “bene comune”.Tanto più perché, oggigiorno, pare essere finito il tempo del diritto scolpito nel marmo. Il diritto viene consumato a ritmo febbrile: non s’era mai vista una legislazione tanto fluida, quanto deperibile; Consulta, Governo, Parlamento, la riscrivono e nulla garantisce esiti relativamente definitivi. Molte novità dissonano dal sistema, a supporre che ne esista ancora uno: fiorisce l’ibrido. Sappiamo il nostro ordinamento complicato, sovraccarico, verboso, labirintico. Insomma, richiede lettori attenti, con una buona sintassi, il nostro sistema normativo. E nel quadro di queste considerazioni di carattere generale si pone il fine ultimo di questo nuovo lavoro di don Luigi: vale a dire l’esigenza di riflettere, di pensare, attraverso la sua esperienza, che è quella di un uomo, il quale si presta al servizio non solo di Dio, ma anche dell’umanità, perché i rischi di “coma etico”, già paventato da don Ciotti, in cui versa la società contemporanea, deve far auspicare – come asseriva Bobbio – l’affermarsi e il diffondersi di un’etica pubblica come disciplina a servizio della comunità. Alla luce di ciò, don Luigi ha concluso puntualizzando che si tratta di “un libro autobiografico e, allo stesso tempo, di denuncia”. “Ho voluto” – ha continuato il sacerdote anticamorra – “accendere i riflettori sulle ragioni che sono a monte della malagiustizia e, in particolare, di quella camorra bianca che per anni ha ridotto Napoli a cronaca nera. Napoli si può salvare, dipende anche da te, malgrado che decenni di malgoverno l’abbiano ridotta come appare oggi. Lo credo perché a Napoli c’è anche tanta brava gente e una splendida cittadinanza attiva che ha bisogno di esempi e modelli da seguire e ha bisogno di coraggio. Coraggio che ha caratterizzato le mie importanti scelte. E per questo, anche se il timore accompagna da sempre la nostra vita, stavolta ho deciso di avere più coraggio che paura, tenendo a mente le parole di Borsellino: ‘chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola’, e io morirò quando sarà arrivato il mio momento e solo Dio sa quando; nel frattempo ho deciso di avere coraggio, quel coraggio che libera”.