ERA IL 1834 QUANDO L’ILLUSTRE ACCADEMICO VENNE A CERVETERI PER ISPEZIONARE STRAORDINARI RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI.
di Angelo Alfani
Nel susseguirsi degli incalcolabili anni di vacche magre vissuti dalla Necropoli, proporre l’emozionante racconto dell’ispezione alla Banditaccia dell’accademico G. Kramer, nell’aprile del 1834, potrebbe far rinfocolare, in noi cervetrani, un legittimo moto di orgoglio. Un sentimento sopito da tempo e che, ritrovato, potrebbe rappresentare la primigenia condizione per uscire dall’interminabile tunnel in cui ci siamo lasciati infilare, così come, mi si passi la blasfemia, la vittoria degli Azzurri al Campionato europeo di calcio. Un Rinascimento delle coscienze, foriero di un’auspicabile partecipazione attiva all’incredibile Patrimonio della nostra comunità, prima ancora che dell’Unesco.
Le notizie che giungevano all’Istituto Archeologico, sebbene frammentarie, non lasciavano dubbi: nel vicino principato di Cervetri erano venuti alla luce rilevanti ritrovamenti Etruschi. La paura che ben presto le tombe di quel sepolcreto sarebbero state di nuovo interrate fece decidere l’Istituto ad inviare in ispezione il professor G. Kramer. Purtroppo all’arrivo del professore ben cinquantuno sepolcri dei cinquantatre scoperti erano di già finiti sottoterra.
Seguiamo il racconto relazione del Kramer riportato nel bollettino di corrispondenza archeologica del maggio 1834: «Questo sepolcreto trovasi su una eminenza tufacea a nord della città. Di là si monta per un piccolo sentiero sulla vetta dell’indicata eminenza che si estende in vasta pianura posta a coltivazione, chiamata la Banditaccia, e sulla quale si profondano i sepolcri sempre nel tufo.Alcuni monticelli rotondi di forma regolare danno indizio certissimo che là è un sepolcreto. I quali monticelli poichè furono aperti, si trovò contenere un sepolcro e talvolta due; ed i tumuli ove si inoltravano dalla superficie del suolo, erano spesso anche ornati d’una specie di cornicione terminante in gradini. L’uno dei due sepolcri che abbiamo esaminato ha l’ingresso volto a levante ed è composto da sei camere tagliate nel masso. Da rilevare mi parvero due sedili a poggioli coi loro suppedanei ricavati diligentemente dal tufo stesso a ridosso della parete principale della camera più grande la quale fa centro del sepolcro,fra le tre porte che introducono a tre camere più piccole. Sopra ognuna di quelle sedie è un gran disco intagliato con rilevamento della parete, come fosse ornamento; ed uguali dischi si trovano tutt’intorno per le pareti di questa camera e di quelle di una delle attigue, ma in questa in margine più basso così circonda i dischi che rassomigliano interamente agli scudi argivi. Oltre le sedie meritano osservazione i letti che sono lavorati costantemente nel masso con eleganza singolare. L’altro sepolcro ha l’ingresso volto a ponente ed è composto di quattro ambienti. Il più importante è senza dubbio il primo di forma quasi ellittica e ornato di varie pitture, le quali pur danneggiate, conservano nondimeno quanto basta per concepire una idea degli oggetti rappresentati e dello stile del disegno. Siffatte dipinture sono assai rozze e semplici: perché senza preparazione d’alcuna sorta di fondo, sia per levigare la parete ossia per colorarla, sono adoperate sul tufo naturale che è umido, poroso e di colore bruno. Tre soli colori vi si vedono usati, cioè il nero, il bianco ed il rosso; i contorni delle figure sono di nero e fatti per un pennello grossissimo; ed i corpi alternativamente o di bianco o di rosso in modo molto semplice e particolare. Le teste sono quasi tutte bianche, i corpi rossi; talora l’una gamba rossa e l’altra bianca. Nella prima camera vi stanno le dipinture più importanti. Cominciando da destra si vede una figura maschile con naso lungo e barba puntuta in atto di camminare e di scoccare un dardo dall’arco che s’incurva per la corda tratta con forza. Il volto è bianco, i capelli neri, lunghi e rozzissimi; le gambe pur bianche ed il resto è coperto da una foggia di veste stretta e corta, tinta di rosso e striata di nero. Innanzi costui procede una bestia la quale, se le offese del tempo e del luogo n’han quasi scancellata la testa, non per tanto dimeno può determinarsi con certezza essere una cerva. Succede alla cerva un gruppo di due leoni ed un cervo, primo è un leone che, adunghiato il cervo alle spalle sta per isquartare, stringendone colle zanne la gola; ed il cervo con grandi corna rivolge forzatamente la testa. L’altro leone seduto sui deretani piedi inchina la testa verso la groppa dello stesso cervo, forse per farne strazio anch’egli. La porta, a somiglianza di quelle dei templi antichi, ha lo stipite tutt’intorno colorato a liste bianche rosse e nere. E sopra l’architrave è dipinto un ariete correndo verso la parte sinistra dello spettatore, e par che fugga l’arrivo dell’altro leone che inseguendo e spiccato un salto dal piano delle altre bestie del lato descritto, già colle zampe dinnanzi è sull’architrave e quasi raggiunge l’ariete. Proseguendo a sinistra le dipinture sono assai più danneggiate; nientedimeno dopo la porta si scorge una testa umana molto simile a quella disopra; e mi pareva che anche alcune tracce d’arco vi fossero rimaste. Le pitture dell’ordinamento inferiore sembra pur che rappresentassero figure d’animali ma tranne la testa d’un leone sedente tutte quante sono perdute. Malgrado la rozzezza di questi dipinti, non manca, almeno nelle bestie, espressione e verità».