di Giovanni Zucconi
I Kamikaze giapponesi sono entrati nella leggenda, e purtroppo hanno fatto scuola fino ai giorni nostri. Ma il loro esempio lo ritrovi anche dove forse non te lo aspetti: nella efficiente e teutonica Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale. Ma la versione tedesca del “vento divino” è decisamente meno esaltante e più disastrosa di quella giapponese. Fu un vero spreco di aerei e piloti, ma tanto inconcludente e priva di risultati da sfiorare quasi il ridicolo. Ma andiamo per ordine. Siamo alla fine del 1944 e la Luftwaffe è ormai l’ombra della possente macchina distruttiva che era all’inizio della guerra, e non riesce più a difendere i confini nazionali. I bombardamenti alleati hanno raggiunto il culmine dell’intensità e dell’efficacia. Il giovane colonnello Hajo Hermann della Luftwaffe, propose allora un’idea audace: fare decollare centinaia di caccia Messerschmitt Bf 109, non con l’obiettivo di sparare ai bombardieri americani ed inglesi, ma di speronarli. Un idea simile a quella dei Kamikaze giapponesi, che però cercavano di affondare grosse navi da guerra.
L’idea era quella di cogliere di sorpresa gli alleati, e di impressionarli al punto tale da convincerli a sospendere i bombardamenti in Germania. In questo modo si poteva guadagnare il tempo necessario, almeno sei settimane, per costruire un numero sufficiente dei nuovi e potentissimi caccia a reazione Messerschmitt ME 262, e quindi di riprendere il controllo dei cieli. Nasce così un’unità segreta della Luftwaffe chiamata “SonderKommando Elbe”.
Il colonnello Hermann è convinto che almeno una parte dei piloti possa sopravvivere agli impatti, gettarsi con il paracadute dal proprio aereo distrutto, e quindi ritornare alla base per ripartire per una nuova missione. Il 7 marzo del 1945 venne pubblicata una richiesta di volontari che si sarebbero dovuti addestrare per missioni “speciali e particolarmente pericolose”. Ma per la ormai cronica mancanza di carburante che tormentava la Germania, il loro addestramento fu sommario ed molto approssimativo. Adolf Hitler in persona diede l’autorizzazione a procedere.
La data del primo attacco fu fissata per il 7 aprile 1945. Furono 180 i caccia mandati a scontrarsi contro una forza immensa: 1300 bombardieri e 800 caccia di scorta. Ma era evidente a tutti che quel punto la guerra era già persa per la Germania, e che la probabilità di capovolgere la situazione, contro un nemico nettamente superiore in numero ed armamenti, era praticamente inesistente. Quella missione era folle ed illogica, ed ebbe come unico risultato quello di mandare a morte certa molti piloti coraggiosi. La missione del 7 aprile 1945 rimase l’unica missione del SonderKommando Elbe. I risultati furono disastrosi. Dei 180 piloti tedeschi decollati quel giorno, 60 tornano indietro per problemi meccanici, e almeno 47 vengono abbattuti dai caccia americani. Solo pochissimi piloti riescono ad abbattere un bombardiere nemico.
Nonostante questo pessimo risultato, memori delle reazioni suscitate dai Kamikaze giapponesi, l’aviazione americana cercò di nascondere l’episodio, e non ammise mai che si trattasse di attacchi pianificati. Nei rapporti ufficiali gli attacchi vennero attribuiti a piloti poco esperti o ad aerei fuori controllo. Si stima che nell’attacco solo 22 o 24 bombardieri americani e inglesi vennero abbattuti. Solo 24 bombardieri persi dagli Alleati, che avevano una capacità produttiva di migliaia di aerei al mese. Un vero disastro che segnò la prematura fine del SonderKommando Elbe.
E’ evidente la profonda differenza con i Kamikaze giapponesi. Il sacrificio di un pilota giapponese aveva come risultato il grave danneggiamento o l’affondamento di una grande nave da guerra americana. Un calcolo ragionieristico che aveva la sua spietata logica. Al contrario, lo speronamento e l’abbattimento di un bombardiere americano, non incideva minimamente sulla potenza aerea americana, supportata da una immensa capacità produttiva. Per non usare parole nostre, descriviamo l’iniziativa del colonnello Hermann con le parole del generale tedesco Baumbach, comandante dei bombardieri, che la definì “vollig idiotisch”, cioè “estremamente idiota”.
Per la cronaca, venti giorni più tardi l’Armata Rossa entrava a Berlino, mettendo fine all’avventura nazista.