ITALIA CRIMINALE

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LA STRAGE DI VIA D’AMELIO – 19 LUGLIO 1992-19 LUGLIO 2024.

 32 ANNI DOPO

di Paolo Palliccia

Sono trascorsi 32 anni dalla strage di Via D’Amelio. Quest’anno, come accade ormai da diverso tempo, il ricordo di Paolo Borsellino e dei suoi ragazzi si articolerà attraverso giorni di dibattiti, cultura, presentazione di libri, proiezioni di film e molte altre iniziative volte a non far dimenticare chi ha sacrificato la propria vita per tutti noi, per consegnarci un Paese più libero.

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, in occasione dell’anniversario della terribile strage di mafia, ci tiene a ricordare l’importanza dell’evento e la necessità di non permettere che sulla strage cali il silenzio e l’oblio, perché, ancora oggi, a distanza di anni, permangono zone d’ombra che allontanano verità e giustizia.

Le iniziative per tenere vivo il ricordo di Paolo e degli agenti della sua scorta saranno diverse, in tutta Italia. A Palermo sono stati organizzati quattro giorni all’insegna del ricordo di Borsellino e dei suoi ragazzi, organizzate dal Movimento delle Agende Rosse e dalla Casa di Paolo, dal 16 al 19 luglio, giorno della strage di via D’Amelio. Tutta Italia è ancora in attesa della verità, di poter far luce, finalmente, su uno degli eventi più drammatici della nostra storia recente.

Alle 16 e 58 del 19 luglio 1992 viene spezzata barbaramente la vita di Paolo Borsellino e dei cinque “angeli custodi” della Polizia di Stato che facevano parte della sua scorta: Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Agostino Catalano. A Palermo, in Via Mariano D’Amelio, sotto casa della mamma di Borsellino, una macchina imbottita d’esplosivo spezza i sogni di tutti gli italiani onesti e getta il Paese in uno stato di sconforto totale, investendo di dolore la famiglia del magistrato e quelle dei ragazzi della scorta morti assieme a lui.

La strage di Via D’Amelio giunse a soli 57 giorni da quella di Capaci del 23 maggio 1992, nella quale persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Sono trascorsi 32 anni dalla strage di Via D’Amelio e, nonostante il fluire del tempo, il ricordo di Paolo Borsellino e del sacrifico estremo dei suoi ragazzi è sempre più forte nel cuore di tutti gli italiani che, oggi come allora, riconoscono la grandezza umana e professionale di un magistrato che, come altri servitori dello Stato prima di lui, ha impegnato ogni sua fibra, ogni sua azione, per sconfiggere la criminalità organizzata e ridonare all’Italia intera una dignità civile mai consolidatasi veramente all’interno del tessuto sociale e istituzionale della nazione, debolissima, sin dagli albori risorgimentali.

Dopo 32 anni dal terribile evento, rimasto purtroppo impresso nella memoria di tutti coloro i quali, quel lontano 19 luglio 1992, hanno appreso della terribile notizia della strage restando completamente attoniti, inermi davanti a tanta ferocia. Ancora oggi, restano molte zone d’ombra che, nonostante l’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine, avvolgono la strage e le dinamiche di morte che, sin dall’inizio, hanno lavorato per depistare il lavoro degli inquirenti. La sentenza definitiva del Borsellino bis, infatti, ha evidenziato chiaramente come alcuni “fattori” esterni a Cosa nostra abbiano ricoperto un ruolo fondamentale nei processi decisionali della strage portando ad accelerare con decisione l’attentato contro Paolo Borsellino e a far sparire la sua agenda rossa, nella quale il giudice aveva annotato, da Capaci in poi, informazioni importantissime, determinanti per comprendere appieno l’identità di chi si stava celando dietro la strage che aveva ucciso Giovanni Falcone, nemico numero uno di Cosa nostre e non solo.

Fra questi fattori il più inquietante è quello relativo alla cosiddetta “trattativa stato-mafia”, ovvero un presunto accordo tra i vertici della mafia e alcuni uomini delle Istituzioni che, contravvenendo ai propri doveri costituzionali, avrebbero condiviso con Cosa nostra un progetto di morte teso ad ottenere, per entrambe le parti coinvolte nella trattativa, vantaggi reciproci: per i mafiosi il desiderio di limitare decisamente l’azione repressiva delle istituzioni nei loro confronti, azione che proprio nei primi anni Novanta sembrò farsi sempre più ficcante ed incisiva nonostante lo smantellamento del pool-antimafia di Falcone e Borsellino e dei cosiddetti “veleni” del Palazzo di Giustizia di Palermo, mentre per i servitori infedeli dello Stato, carriere velocissime all’interno dell’amministrazione del Paese e degli apparati di sicurezza.

Il giornalista deve cercare sempre la verità, scavare, lottare con tutti i mezzi che ha a disposizione per farla affiorare ma anche la classe politica deve giocare un ruolo attivo, costruttivo, finalizzato a fornire un quadro più esauriente sulle stragi del 1992 e su quelle del 1993 (quest’ultime perpetrate contro innocenti cittadini italiani e contro l’immenso patrimonio artistico del Paese). Quello che risulta fondamentale, però, a distanza di 32 anni, è l’insegnamento di Paolo Borsellino, il suo impegno incessante nella ricerca della verità e, soprattutto, la sua totale opposizione, una volta venuto a conoscenza della famosa trattativa, ad ogni possibile compromesso con Cosa nostra e i suoi sodali, sparsi ovunque.

Borsellino, nelle ultime settimane della sua vita ha compiuto un’autentica corsa contro il tempo per assicurare alla giustizia gli assassini di Giovanni Falcone, ha lavorato senza sosta, senza orario, andando addirittura a sottrarre tempo ai suoi affetti più cari, alla sua splendida famiglia, elemento fondamentale e prioritario nella vita del magistrato palermitano, tutto questo per quella parte d’Italia onesta e lavoratrice che, in quegli anni incerti e profondamente inquinati da malsani rapporti tra politica e malaffare d’ogni risma, s’aggrappò a uomini come Borsellino e alla sua incrollabile fede nella giustizia per poter continuare a credere nelle istituzioni.

Oggi, più che mai, è fondamentale dopo 32 anni commemorare la sua figura con un impegno concreto, fatto di iniziative che devono scuotere le coscienze ed evitare che la giornata del 19 luglio diventi un semplice e inutile esercizio di retorica.

Si deve ricordare la sua funzione, il suo essere un fedele servitore dello Stato, un magistrato vero, come i ragazzi della sua scorta che, fino all’ultimo, hanno accompagnato il loro giudice consapevoli del rischio che correvano.

Le nebbie che si sono addensate sulla strage di Via D’Amelio sono molte, ancora oggi la verità sembra far paura a molte persone, a troppe persone. L’agenda rossa sottratta a Borsellino nei momenti più drammatici di quel 19 luglio 1992, rappresenta ad oggi una possibile arma del ricatto, uno strumento da utilizzare contro chi, eventualmente, si volesse spostare dalla parte della giustizia e collaborare alla ricerca della verità.

L’agenda rossa, autentico scrigno dei risultati del lavoro del giudice, le azioni di depistaggi legate alla figura cartonata del finto mafioso Vincenzo Scarantino (sulla sua falsa testimonianza è stato montato un primo processo, totalmente falso e colpevole di aver provocato ritardi pazzeschi nella ricerca della verità giudiziaria), il ruolo avuto dalle dichiarazioni rese da Gaspare Mutolo a Falcone e Borsellino che sembrano essere state una delle principali motivazioni dell’inizio della stagione stragista, sono tutti elementi fondamentali per far luce sulla strage di via D’Amelio e con essa su molte altre inquietanti verità ancora indicibili, misteriose, figlie di un’Italia criminale.

Paolo Borsellino, 32 anni dopo, è ancora vivo, è viva la sua generosità, la sua competenza, la sua ironia, il suo essere un modello di vita che certamente va proposto e riproposto alle nuove generazioni di giovani alle quali lo stesso Borsellino ha ricordato che “se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.

Borsellino non è stato solo il grande magistrato antimafia che tutti noi abbiamo conosciuto, apprezzato e amato, è stato prima di tutto un uomo vero, sempre pronto al sorriso, alla battuta, un autentico affabulatore, un palermitano così amante della sua terra da volerla migliorare ridonandole quella freschezza sopita e troppo spesso oscurata dal “puzzo del compromesso e del malaffare”.

Il suo esempio, come dicevamo, va riproposto ogni giorno, solo così, infatti, si potranno recidere i tentacoli del mostro che, ormai, da troppo tempo, soffocano l’economia sana di questo nostro Paese. Come lo stesso Borsellino ricordò, in un suo intervento di molti anni fa, “la lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità”.

Il 19 luglio deve essere essenzialmente il ricordo di chi, in vita, ha veicolato idee immortali, trasmettendole a tutti coloro che, in qualche modo, hanno avuto la fortuna di avvicinarlo, conoscerlo e amarlo e così anche per i suoi ragazzi, giovani eroi che sono morti con il magistrato in quel budello che era via D’Amelio il 19 luglio 1992, ragazzi (tra loro anche la giovanissima Emanuela Loi) la cui memoria deve essere difesa e alimentata, sempre, non solo il 19 luglio.