Il romanzo di Rosanna Pierleoni “Lo Specchio degli occhi tuoi” racconta la vita, le speranze, le paure, i sogni di due ragazze “ai margini” della Roma di inizio millennio, la città affascinante e tentacolare raccontata da Paolo Sorrentino ne “La Grande Bellezza”.
Di Andrea Macciò
Attraverso il filtro creativo del racconto di fiction, il romanzo di Rosanna Pierleoni affronta con uno sguardo appassionato e originale temi sociali e culturali fondamentali del nostro tempo: la violenza di genere, la prostituzione minorile, la rappresentazione sociale e mediatica dell’omosessualità, il disagio giovanile e il “male di vivere” delle generazioni cresciute nel nuovo millennio vivendo esperienze sempre meno sociali e sempre più virtuali.
Uno dei temi che emergono dal tuo romanzo è quello della violenza sulle donne, della quale è vittima una delle due protagoniste del libro. Qual è il tuo giudizio sull’approccio “istituzionale” di oggi al tema della violenza di genere? Il supporto alle donne vittime di violenze sessuali e/o domestiche a tuo avviso è adeguato?
Il tema della violenza mi è molto a cuore. Nel mio romanzo parlo della violenza sulle donne, ma cerco di porre l’attenzione sugli aspetti relazionali “malati” da entrambe le parti: vittima e carnefice. Sono entrata in contatto con situazioni di questo tipo durante il mio percorso formativo e professionale, ma ne ho anche un’esperienza più personale, per aver aiutato delle persone a me care in momenti di grande difficoltà. In tutti questi casi mi sono resa conto di imbattermi in un sistema complicato e burocratizzato che di fatto è molto distante dalle reali esigenze di chi si trova in pericolo. La persona vittima di violenza si trova spesso sola ad affrontare tutto questo e non è raro che nel momento in cui decide di ricorrere alle vie giudiziarie la situazione di violenza possa addirittura capitolare, fino ad estreme conseguenze. In qualche modo nel mio romanzo si respira questa assenza di fiducia in una via di uscita concreta.
Qual è invece il tuo punto di vista sulla rappresentazione mediatica di questo fenomeno? È adeguata o secondo te ci sono aspetti come la “colpevolizzazione” delle vittime o un eccessivo allarmismo che possono avere effetti negativi nel contrasto al fenomeno?
Sicuramente c’è un’attenzione esponenziale alla tematica, con un numero crescente di panchine rosse e deviazioni sul tema in qualsiasi trasmissione televisiva o evento di piazza; però questa attenzione assume dei tratti, a mio avviso, poco edificanti e anzi piuttosto ossessivi e sconvenienti. Mi sembra che l’accento venga posto sulla guerra psicologica tra uomo e donna. Ne escono menomati il rapporto biologico/naturale tra le due metà del mondo, e l’equilibrio fondamentale tra il maschile e il femminile presenti in ognuno di noi. Il maschile viene descritto come un soggetto poco evoluto, in balia di istinti ingovernabili e pronto in qualsiasi momento ad agire violenza; la donna, a sua volta, viene considerata inferiore, in quanto vittima indifesa e sempre inerme dinanzi al volere dell’uomo.
La mia esperienza lavorativa mi ha dimostrato che la violenza, fisica e psicologica, viene subita sia dagli uomini che dalle donne, seppure con delle differenze legate alle nostre diversità biologiche e culturali: i dati relativi alla violenza subita dagli uomini sono ancora più sconosciuti di quella subita dalle donne sia per una loro maggiore resistenza a denunciare sia perché gli enti preposti, come i centri antiviolenza, spesso accolgono solo le richieste di aiuto che arrivano dalle donne.
Dovremmo uscire dalla logica di genere e dalla guerra psicologica tra le due parti, per entrare in una dimensione più costruttiva e edificante dove il nemico non è un’intera categoria di persone, ma sono le azioni violente, chiunque le compia. Io credo che un cambio di linguaggio potrebbe essere di aiuto per le persone che hanno subìto violenza, perché loro più che mai hanno bisogno di respirare parole nuove e di credere che esiste qualcosa di diverso.
In merito alla tua ultima domanda credo che il fenomeno della colpevolizzazione della vittima sia dovuto a una scarsa conoscenza dell’animo umano e, come sempre capita, questo eccesso sposa bene con il suo opposto: non è possibile parlare della vittima in termini critici, provando ad esempio a capire cosa non abbia funzionato in lei, senza essere accusati di volerla colpevolizzare per la violenza subita. Io credo che invece porre l’accento su sé stessi sia quanto mai importante per diventare protagonisti del proprio cammino e non mere comparse nel copione di altri soggetti.
Qualcosa di simile capita con l’allarmismo mediatico e politico a cui fai cenno: i dati sulla violenza, in tutte le sue forme, nella nostra società sono preoccupanti, tuttavia credo che l’accento posto sul numero dei cosiddetti femminicidi sia forzato (si riconduce a questa categoria qualsiasi morte violenta di persone di genere femminile) e i dati siano forniti alla popolazione senza alcuna forma di analisi: sappiamo bene come qualsiasi evento, per quanto drammatico, necessiti di una elaborazione in termini relativi per essere ricondotto a fenomeno sociale, diversamente resta un fenomeno degno di attenzione, anche professionale, ma non assurge a fenomeno sociale.
Il modo enfatico e allarmistico con cui si parla di questi temi sottende una condizione di pericolo per ciascuna donna, come se qualsiasi uomo incontrato nel proprio cammino fosse un potenziale assassino, cosa che è molto distante dalla nostra realtà e che rischia di provocare reazioni di paura irrazionali ed eccessive. Questo dovrebbe interrogarci sulla responsabilità dei nostri organi di stampa e sull’attendibilità del nostro sistema informativo. Le reazioni “di pancia”, tra l’altro, non favoriscono la creazione delle condizioni giuste per gestire il fenomeno. Dovremmo riguadagnare la possibilità di riflettere insieme in modo articolato e complesso su temi di massima importanza come questi.
Nel tuo romanzo racconti un fortissimo legame tra le protagoniste Elettra e Viola, un’amicizia amorosa molto intensa con un aspetto anche erotico e passionale, che suggerisce un legame omosessuale tra le due protagoniste senza mai trattare direttamente il tema. Una delle protagoniste suggerisce con una sua frase che nella vita alcune cose semplicemente accadono. Come valuti il discorso pubblico sul tema dell’omosessualità, della bisessualità e della cosiddetta “fluidità di genere” oggi che appare molto più politicizzato e polarizzato di quanto accadesse in quell’inizio del millennio nel quale hai ambientato il romanzo?
Anche sul tema dell’omosessualità si sono create delle forti polarizzazioni, per cui sembra possibile appartenere solo a due categorie: o coloro che portano avanti determinate battaglie sociali a favore degli omosessuali oppure coloro che nutrono un odio nei loro confronti. Chiunque abbia una visione articolata viene ricondotto a questa seconda categoria, la categoria degli omofobi. Nel romanzo racconto il legame viscerale tra Viola ed Elettra, ma come tu dici non parlo mai di omosessualità. La storia si ambienta nel 2000 e in quegli anni non si riponeva l’accento che si ripone oggi sul tema. Tutto sommato mi sembra che tutta questa attenzione non faccia che rinforzare l’etichettamento e la guerra tra categorie perché si dà a quella che è una caratteristica naturale un ruolo predominante, divisivo: vi si pone l’accento affinché quel tratto diventi un confine.
Mi sconvolge a questo proposito la rincorsa all’etichettamento: molte persone si definiscono gender fluid allo scopo di superare qualsiasi etichettamento: omosessuale, bisessuale e così via, ma così facendo, di fatto, si autoinfliggono un’altra etichetta. Personalmente considero tutte queste delle vere e proprie distorsioni linguistiche, dei tentativi maldestri da parte di chi muove i fili per veicolare altri contenuti, parlando in apparenza di inclusività.
Avverto la mancanza di un linguaggio altro, un linguaggio che non ci ingabbi, un linguaggio che lasci finalmente spazio a ogni nostra espressione e restituisca la bellezza e il mistero di ogni vita e di ogni relazione. C’è differenza tra il fatto che le cose accadono, un po’ come dici tu nella domanda, e il fatto che debbano accadere. Mi piacerebbe vedere una società capace di guardare alle cose con curiosità e interesse attivo, e senza intervenire sempre in modo così forte e ideologicamente orientato.
Un altro tema forte del libro è quella della prostituzione minorile, che negli anni nei quali è ambientato il libro era al centro delle cronache di quella Roma dove si svolge l’azione narrativa.
Nel pensiero femminista c’è un grande dibattito sul significato della prostituzione e del cosiddetto “sex working” oggi, sia nelle forme tradizionali che in quelle “virtuali” come quella delle piattaforme come Onlyfans.
Secondo te le ragazze che si prostituiscono anche occasionalmente sono sempre “vittime” di una pressione sociale o esercitano in maniera consapevole l’autodeterminazione sulla propria vita e il proprio corpo? O ancora il tema è così complesso da non poter trarre conclusioni univoche?
Sì, i primi anni Duemila sono stati gli anni degli scandali delle cosiddette baby squillo, ragazze minorenni, intorno ai 15 anni di età, che sono state coinvolte in un giro di prostituzione nella città di Roma, città in cui abitavo e in cui è ambientato il mio romanzo. Le protagoniste di questi scandali erano più piccole delle due protagoniste del mio romanzo che sono appena maggiorenni.
All’epoca non mi sono soffermata su questi scandali, ho continuato a svolgere la mia vita, ma probabilmente tutto questo ha permeato il mio immaginario.
Rispondere alla tua domanda è difficilissimo, penso che non esista una risposta univoca. Il tema del mio romanzo ha incuriosito molte persone che mi hanno chiesto il perché di questa mia scelta. Personalmente non credo che tutte le ragazze siano sempre vittime di una pressione sociale, anche perché la prostituzione è un fenomeno molto antico che attraversa il tempo e le varie culture. Non credo nemmeno che sia sempre e comunque un atto di autodeterminazione, come dire, espressione di una forma di libertà radicale. Credo che, come ogni fenomeno umano, possa prendere le forme e i linguaggi di quella determinata società ed evidenziarne le falle e persino le virtù. Attraverso la vita di Viola ed Elettra è possibile riflettere sul concetto di dignità e sul trattamento riservato al nostro corpo, anche al di fuori della prostituzione, magari in lavori sottopagati o dove addirittura siamo noi a dover pagare per fingere di lavorare, come capita sempre più spesso in questo nostro tempo.
Nel mio romanzo ho utilizzato questo scorcio per raccontare i primi anni duemila, con tutte le sue contraddizioni, da un’angolazione meno comoda e, mi auguro, proprio per questo più veritiera. Porto il lettore nella periferia di una delle città più belle e dannate del mondo e gli offro una visuale privilegiata: i tormenti, i pensieri, le paure e i sogni di due ragazze al margine. In questo modo è possibile capire anche il resto del mondo, la società conforme.
Un altro tema importante è quello del disagio psichico giovanile, del “male di vivere” e delle pulsioni di morte che attraversano anche gli adolescenti. Sono passati quasi vent’anni dal periodo nel quale si svolge l’azione del libro, quanto secondo te hanno influito su questi aspetti i due anni di lockdown e restrizioni della socialità “in presenza” e la trasformazione delle esperienze e relazioni sociali in esperienze e relazioni virtuali in atto da almeno vent’anni?
Sì, tutto il romanzo è un tentativo di trovare un equilibrio tra la pulsione di vita e la pulsione di morte. In questi vent’anni l’equilibrio psicofisico di tutti noi, e degli adolescenti in particolare, trovo sia peggiorato. Questo è dovuto banalmente al fatto che viviamo meno: meno contatto con la natura, con la strada, meno relazioni, meno attività sane legate a questo legame con l’esterno. Nel mio romanzo, ambientato nei primi anni Duemila, si respirano i primi presagi di alcuni cambiamenti epocali che avrebbero mostrato il loro volto nei decenni successivi; sono descritti come una folata di vento che inizia a smuovere tutto, ma su cui nessuno ancora si soffermava a riflettere. Pian piano ci siamo rinchiusi prima nelle nostre case e poi nei nostri avatar virtuali. La vita di ciascuno di noi ne è stata travolta, ma quella degli adolescenti ancora di più, trattandosi dell’età della ricerca della propria identità attraverso il confronto con l’esterno.
Il disagio psichico è aumentato, sono aumentati i gesti di autolesionismo e i gesti estremi, come il suicidio, di cui parlo del mio romanzo. Oggi è cambiato anche il modo in cui tutto questo avviene. Non è raro che capiti senza una lettera, senza enfasi, senza poter scorgere l’ombra di un messaggio: i ragazzi si lasciano morire per gioco, come mettere un like, come partecipare a un gioco scemo e farlo girare su TikTok. I due anni di lockdown sono stati a mio avviso l’atto finale di un processo che partiva da molto più lontano nel tempo: come un trampolino che è a sua volta traguardo e a sua volta partenza.
Lo specchio degli occhi tuoi: il romanzo
Lo specchio degli occhi tuoi inizia come un giallo: una corsa in ospedale, l’incontro tra due amanti, una telefonata anonima che avvisa la polizia di un delitto.
Dopo qualche pagina, siamo trasportati nel 2049 e una misteriosa voce narrante, racconta il ritrovamento di una “scatola dei ricordi” nella quale sono racchiusi oggetti che raccontano la vita breve e intensa di una ragazza di inizio millennio, Elettra Grieco. La voce narrante scopre una fotografia che ritrae due ragazze ed è colpita da una scritta sul retro: “L’eternità era nelle nostre labbra e nei nostri occhi”.
Con l’espediente del flashback, Rosanna Pierleoni ci porta dentro alla storia di Elettra Grieco e Viola Mariani, due ragazze di provincia che arrivano nella Roma di inizio millennio in fuga da un passato forse semplicemente infelice e forse oscuro.
Elettra arriva dalla Basilicata, provincia di Potenza, Viola dalla provincia di Macerata.
Si incontrano per caso in locale di ballo sudamericano, La Ronda, e sembrano avere tutta la vita davanti. Nasce un’amicizia fortissima, che alcuni mesi dopo sfocia in una convivenza in una casa di Roma Sud.
Il loro legame diviene via via più intenso, un’unione totale di anime e corpi, un’amicizia che diventa un amore assoluto, l’unico che persisterà in una successione di relazioni passeggere, con la promessa di non lasciarsi mai.
A due anni dal loro incontro, incalzate dalle necessità della vita in una metropoli, le ragazze creano il “Mama” la loro “attività” un’oasi di pace, un coacervo di lussuria e di piaceri, un posto dove essere sé stessi, buttare a terra le proprie uniformi.
Le due ragazze creano un complesso sistema per “regolare” gli incontri con gli uomini “iscritti” al Mama, evitando possibili implicazioni sentimentali; il Mama sarà il catalizzatore di una serie di incontri a volte costruttivi a volte negativi e tossici con una serie di uomini che restano sempre come sullo sfondo della narrazione.
È Elettra, in particolare, ad essere pervasa da una pulsione autodistruttiva che la porta ad annullarsi quasi completamente nella relazione con uno di loro, Augusto, un rapporto fortissimo e controverso nel quale sembra inseguire con pervicacia una sorta di cupio dissolvi.
Intanto la vita continua, l’attività del “Mama” chiude, Viola si costruisce una vita altrove, in Francia, e a Elettra viene a mancare il punto di riferimento della sua esistenza difficile, dell’anima sofferente che si nasconde dietro alla bellezza esteriore.
Elettra sogna di fare la scrittrice, e nel romanzo sono disseminate le sue poesie, i suoi pensieri, la sua disperata richiesta di amore e attenzione.
Nel rapporto con gli altri, nelle relazioni, da Augusto a Viola, lei non è stata mai realmente sé stessa, ma è stata quello che gli altri vedevano in lei: “lo specchio degli occhi tuoi”.
La scrittura di Rosanna Pierleoni è raffinata, complessa, avvincente, elegante, affronta con una rara delicatezza e profondità temi complessi, da quello della prostituzione minorile a quello della violenza sessuale, da quello della violenza di genere a quello del male di vivere degli adolescenti, a quello dell’omosessualità e della sua rappresentazione mediatica.
Il romanzo è ricco di descrizioni ambientali accurate, e riesce a rendere con grande efficacia l’atmosfera di inizio millennio.
Come afferma in un passo Viola, il romanzo di Rosanna Pierleoni ci porta in quel mondo di mezzo tra “il mondo morale” e il “mondo immorale”: un mondo amorale nel quale le cose accadono, e sono semplicemente quelle che sono senza alcun giudizio. Un punto di vista prezioso in un’epoca nella quale tutti sono pronti a giudicare le altre persone dalla tastiera di un pc o di uno smartphone.
Il legame tra Elettra e Viola, che resteranno intimamente unite per tutta la loro esistenza, è descritto con grande efficacia narrativa e profondità psicologica, raccontando una realtà nella quale molte amicizie femminili sono così intense e profonde da trasformarsi ben presto in amori e unioni indissolubili, anche in presenza di altre relazioni.
Tra le parti più interessanti del libro gli “appunti” di Elettra. Scritte in un altro font rispetto alla narrazione ordinaria, sono parole intense e poetiche, nelle quali si esprime al meglio l’intensità emotiva che pervade tutto il romanzo.
Il personaggio di Elettra, affascinante, passionale, controverso, è il più potente e intenso del romanzo, e l’autrice riesce a portare chi legge a identificarsi con lei e a vivere quasi fisicamente le sue emozioni.
Note biografiche sull’autrice
Rosanna Pierleoni, nata ad Avezzano nel 1984, si è laureata in giurisprudenza a Roma, dove ha conseguito tre master professionali. Si è occupata di supporto psico-criminologico ai detenuti del carcere di Regina Coeli, e di mediazione familiare e consulenza su minori e famiglie e in ambito privato, in collaborazione con diverse realtà come la fondazione “Pensiero e linguaggio” di Roma. Qui insieme a tre psicoterapeuti ha dato vito al progetto “Centro romano per la famiglia”.
Ha collaborato con diverse testate, ideando la rubrica “il rovescio della cronaca” per un giornale abruzzese. Nel 2011 ha pubblicato il suo primo romanzo “I buchi del cielo” e nel 2023 il saggio “il procedimento per l’adozione internazionale”. Nel 2024 ha pubblicato “Lo specchio degli occhi tuoi”. Attualmente dirige un’agenzia di ricerca qualificata, scrittura professionale e grafica rivolta a studenti e professionisti, la Touch Communication.