In morte di Camilleri e De Crescenzo

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di Pietro Zocconali

Mi sono trattenuto per alcuni giorni dallo scrivere qualcosa sulla scomparsa dei due grandi scrittori e divulgatori storico/filosofico/scientifici, il siciliano Andrea Camilleri e il napoletano Luciano De Crescenzo.Già tanto è stato scritto sui due assi della letteratura italiana, e non voglio infierire oltremodo.

Mi fa soltanto piacere raccontare come mi sono, negli anni, rapportato con questi due grandi autori italiani. Ho nella mia biblioteca decine e decine di libri pubblicati dai due, tutti da me letti e apprezzati.

Iniziando dal secolo scorso, il primo libro di De Crescenzo, letto nel 1985, “Storia della filosofia greca – I Presocratici”, è stato come un colpo di fulmine: leggere di filosofia sorridendo, mi ha fatto apprezzare una materia, per me e per tanta gente, abbastanza difficile da comprendere. Il suo modo scrivere mi ha ricordato il grande Bertrand Russel, con i suoi libri dal titolo “Storia della filosofia occidentale”, anch’essi narrati tra il filosofeggiare e la divulgazione di massa.

Nel maggio dell’’89 (30 anni fa), ho avuto il piacere di assistere a Roma, alla presentazione del libro ” Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo”, in quell’occasione (ahimè non eravamo usi ai selfie) ebbi un bel dialogo con l’autore nel momento della dedica sul libro acquistato; ricordo che per punsecchiarlo (conoscendo la sua napoletanità) gli chiesi candidamente se, avendo pubblicato un libro sulla sua vita, avesse deciso di smettere di scrivere. Il simpatico autore facendo gli scongiuri nei modi che tutti possono immaginare, mi rispose che ne avrebbe scritti molti altri, e così è stato.

L’amore per Camilleri è più recente; è scoppiato con la lettura, nel 2008 del libro “Storie di Montalbano”, sette romanzi e alcuni racconti con protagonista il già amato commissario Salvo Montalbano, campione di audience televisiva. Finito di leggere il corposo testo, mi sono accorto di aver imparato un’altra lingua, un misto tra italiano e siciliano con vocaboli inventati dal maestro di sana pianta: trattavasi del “Camillerese”. La lingua del maestro di Porto Empedocle è divenuta un caso di studio per i traduttori di tutto il mondo. Anni or sono, a Londra rimasi a bocca aperta vedendo in una libreria un Montalbano scritto in inglese; i suoi romanzi, in effetti sono stati tradotti in circa trenta lingue, dal francese al tedesco fino al turco e al giapponese, una vera e propria sfida per i traduttori che certamente non avranno potuto cogliere a pieno le varie sfumature sulle indagini dell’amato commissario o, ad esempio sulla involontaria comicità del rustico personaggio di Catarella.

Subito dopo essere stato conquistato dal bravo commissario di Vigata, un caro amico mi consigliò di leggere anche altri saggi di Camilleri, più o meno storici, ma tutti gustosissimi; e così è stato: i romanzi: “Il re di Girgenti”, “La scomparsa di Patò” e numerosi altri ancora sono infatti dei piccoli capolavori, un fenomeno editoriale incredibile.

Nel concludere questo mio intervento voglio ringraziare i due grandi scrittori, registi, sceneggiatori, attori, per avermi dato una infinità di stimoli e per avermi preso per mano e fatto compagnia per centinaia e centinaia di ore, tra le più belle e interessanti della mia vita.