IN DIFESA DEL PASSATO SENZA NOME

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LOTTARE PER SALVAGUARDARE IL POCO DI RICORDI CHE CI CIRCONDA: I SELCIATI ALLA BOCCETTA, I MURAGLIONI IN QUADRONI DI TUFO, I PINI, I CIPRESSI, LE QUERCE, I QUATTRO INGRESSI AD ARCO ANCORA IN PIEDI.

di Angelo Alfani

È luogo comune che, superati gli “anta”, veniamo avviluppati da nostalgiche nuvole. Nostalgia di un passato recente che nel ricordarlo si immagina spensierato, fatto di cose semplici: corse a scapicollo lungo polverosi viottoli inseguiti da fantastici mostri o reali avversari.

Sguardo a terra seguendo antichi segnali di sampietrini chiari che, come le pietre d’inciampo, suggerivano il percorso verso casa nel buio interrotto da rare luci che filtravano dai portoncini spesso accostati, in un silenzio rotto dal lento e biascicato rosario di nonne o da indiscutibili ordini paterni. Cani inquieti dietro bandoni di lamiera che, stretti a catena, correvano in cerchio, gatti sornioni su cornicioni di finestre o sui muretti a calcina e mattoni. Racconti spaventosi, fatti e misfatti eroici e crudeli, che ti accompagnavano fin sotto le lenzuola. Battaglie schiamazzanti, rincorse e partite senza fine. Sogni di viaggi avventurosi in impenetrabili giungle ed isole del tesoro, luna e pianeti a portata di mano, macchine roboanti, famiglie felici, campi da calcio in cui trionfare, popoli da liberare, poveri da sfamare, malati da accudire.

Aspettative di vita raramente avveratesi, bruciate di colpo o abbandonate negli anni: i fardelli della proprietà che appesantiscono la mente e rendono gelidi i sentimenti, annullano la fantasia e con il venir meno dei sogni la voglia di cambiare lo stato delle cose presenti svapora. A questo si somma la nostalgia per un futuro che non abbiamo lenti capaci di immaginare, un’ incertezza che incute timore e porta alla malinconia. Il tempo è privo di ambiguità, non consente dubbi: è implacabile. Non perdona. Restiamo così zavorrati sul presente.Non ci resta che alzare gli occhi: lo stesso cielo stellato contemplato dai navigatori etruschi, dai pastori marchigiani, dagli assegnatari di terre, dai muratori dal cappello fatto con fogli di giornale, dai giovani irrequieti che immaginavano altro da quel che si sono ritrovati. E contemporaneamente lottare per salvaguardare il poco di ricordi che ancora ci circonda: i selciati alla Boccetta, i muraglioni in quadroni di tufo che accompagnano le nostre passeggiate alla Palma, a Sant’Antonio, al Tiro al piattello, i pini, i cipressi, le querce, i quattro ingressi ad arco ancora in piedi, che aprono lo sguardo a maestose distese di ulivi. Piccole cose ma fondamentali.

Scrive Pasolini ne La forma della città: “Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso ed antico, non è niente, non è quasi niente, è un’umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore[…] voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende e che è opera, diciamo così, del popolo, di una intera storia, dell’intera storia del popolo di una città. Di una infinità di uomini senza nome[…]con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere un’opera d’arte d’un autore, un monumento, una chiesa, una facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è oramai assodato. Ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare”.