IL VENEZUELA MUORE DI FAME, UNA CATASTROFE UMANITARIA DALLA PORTATA DEVASTANTE

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di Antonio Calicchio

Sino a pochi anni or sono, il Venezuela era il Paese più ricco del Sudamerica, ma, a seguito di politiche scellerate, esso è precipitato in una condizione di grave emergenza umanitaria. Il popolo venezuelano è caduto in toto in uno stato di miseria, e non ha accesso al cibo, né ai farmaci. Qua, nella nazione con maggiori risorse petrolifere al mondo, i bambini muoiono di fame. Le organizzazioni umanitarie si prodigano, da tempo, per distribuire cibo alle famiglie che gravitano attorno alle loro missioni, ai centri di formazione.

Serrande abbassate, scaffali vuoti, supermercati deserti, code interminabili per acquistare il pane, il sapone, le medicine, quei beni di prima necessità che sono divenuti un lusso per la quasi totalità della popolazione. Intere famiglie che frugano tra i rifiuti alla ricerca di cibo, senzatetto di ogni età, mendicanti e bambini di strada sono le comparse di uno scenario fatto di miseria, violenza ed abbandono. Nella capitale, Caracas, in cui il tasso di criminalità è molto elevato, ma anche nel resto del territorio in cui, persino, nelle zone rurali, manca da mangiare e le persone sono disperate.

Un tempo, il Venezuela era lo Stato più ricco del Sudamerica: eppure, sono stati sufficienti soltanto pochi anni per trasformare una nazione prospera in un Paese alla fame. A venticinque anni dal suo esordio sul panorama mondiale con un colpo di Stato, Chàvez è, ormai, defunto, ma sopravvive nell’attività politica del suo successore, Nicolas Maduro.

Il Venezuela non ha più la forza di portare sulle spalle il peso di tale eredità: i livelli di inflazione sono prossimi al 5.000% all’anno, un dato che dà la misura della gravità della situazione. L’Inchiesta Nazionale sulle Condizioni di Vita condotta dall’Università Cattolica Andrés Bello e pubblicata nel febbraio 2018 ha rilevato che l’87% dei nuclei familiari versa in stato di povertà e il 61,2% in una situazione di povertà estrema. 8,2 milioni di venezuelani consumano due o meno pasti al giorno, pasti di scarsa qualità. E la denutrizione ha già mietuto migliaia di vittime tra i più piccini, e molti stanno morendo o sono in pericolo di vita. E’ in atto una catastrofe umanitaria che viene solamente sussurrata dai mass media. Ma che vede le organizzazioni preposte impegnate in prima linea contro la violenza e la fame dilaganti. Organizzazioni che, nel vivere a fianco dei venezuelani, offrono loro educazione e supporto. Ora, il loro primario obiettivo è quello di garantire sostegno nutrizionale alle persone che orbitano attorno ai loro centri: scuole, parrocchie, centri professionali, strutture di accoglienza. Fanno questo da mesi, districandosi tra i “Carnet de la Patria” (dei buoni distribuiti dal governo che servono per acquistare il cibo e altri prodotti di uso quotidiano razionati) e il mercato nero.

La distribuzione e la tipologia di cibo sono differenti a seconda dei casi: vi sono parrocchie in cui viene distribuita una zuppa una volta a settimana, scuole in cui vengono offerti tre pasti al giorno, altre strutture educative in cui viene somministrato uno spuntino quotidiano.

Una merenda, costituita da un succo di frutta e un’arepa (sorta di pane, simile alla tortilla messicana e al chapati indiano), costa trenta centesimi di euro; una zuppa, quaranta centesimi; un pasto completo, cinquanta centesimi di euro.

Il Venezuela, dunque, è un Paese al caos totale, e a Caracas i primi missionari salesiani, ad es., arrivarono nel 1894. E salendo lungo la strada, che dall’aeroporto conduce alla città, si percepisce una strana sensazione: si tratta di un Paese in via di sviluppo o no. Lo skyline di Caracas è impressionante coi suoi palazzi in vetro e i molteplici grattacieli. E’ una metropoli con diversi milioni di abitanti, però sulle strade mancano camion e furgoni, quasi che non vi fosse alcunché da trasportare o consegnare, le auto sono poche; mancano, inoltre, le persone lungo i marciapiedi. Sui ripidi pendii delle colline che circondano Caracas vi è un alveare di case che si aggrappano alla montagna. Sono i barrios, i quartieri poveri sovrappopolati. Le abitazioni sono costruite con mattoni rossi e tetti in lamiera, privi di intonaco e di vetri alle finestre. Le inferriate sono robuste, e lì la vita è brulicante e pericolosa, tanto che furti ed omicidi sono frequentissimi. Il salario di un operaio equivale, adesso, a 1,5 euro al mese. Per comprare uno pneumatico, il cui valore corrisponde a sessanta euro, occorrono quaranta mesi di lavoro, per un chilogrammo di carne di manzo (costo 1 euro), occorrono venti giorni di lavoro, la benzina e il gasolio, invece, sono quasi gratis: ed infatti, un pieno di benzina costa mezzo centesimo di euro. Farmacie e supermercati hanno aspetti desolati e vuoti. La situazione del Paese, caotica e confusa, è conseguenza delle politiche socio-economiche dissennate poste in essere in questi ultimi anni dal governo militare di stampo marxista.

L’inflazione galoppa a tre cifre, il valore della moneta – il bolivar – è pressoché nullo, non serve per alcuno scambio con l’estero. Le persone sopravvivono mangiando sempre meno e acquistando prodotti alimentari di scarso valore nutritivo, come la yucca, un tubero simile alla patata, più grande e meno costoso. Gli alimentari scarseggiano in quanto il Venezuela, in passato, ha puntato tutto il suo sviluppo economico sul petrolio di cui è il detentore dei più grandi giacimenti al mondo, ma non ha diversificato i settori produttivi. E per il fabbisogno alimentare della popolazione il Venezuela importa quasi tutto: è una assurdità, in un Paese tropicale ricco di acqua e di terra fertile e coltivabile.