“I pallidi fantasmi dei canneti/coi lor sospiri muovono le foglie…”
Alto, sulla valle del Manganello, si ergeva (ora non più!) il tempio con le sue “strutture” policromate beluginanti sotto i raggi aurei del sole. Imprigionato da un bosco vetusto, a pochi passi dall’omonimo torrentello (nel periodo della mia spensieratezza, quante volte ho bevuto le sue acque purissime!) e dalla monumentale necropoli della Banditaccia, nella prima metà dell’ottocento fu individuato, per intuizione, dell’arciprete Alessandro Regolini; ma soltanto nel 1935 n’è iniziata la vera “esplorazione” da parte della Soprintendenza per opera dell’ingegnere Raniero Mengarelli.
Oltre alle strutture murarie, il Mengarelli ne individuò due “pozzi sacri” circolari a imbocco piccolo, una cavità circolare più grande erroneamente interpretata come “riserva di grano”, e una cisterna a imbocco quadrangolare nel mezzo del podio centrale. Il primo “pozzo” conteneva soprattutto frammenti di terracotta votivi; il secondo “pozzo” risultava riempito con un “alto strato di ceneri in cui erano mescolati detriti minuti di carbone e pezzetti di ossa di animali, fra cui erano riconoscibili ossa di agnello…” come riporta lo stesso Mengarelli.
Altri dati non furono stati registrati nella pubblicazione ufficiale dello scavo…
Nel frattempo, inflessibile la natura si era riappropriata dei luoghi e le piante potevano “disturbare” la lettura della situazione archeologica. (Fu così che nel 2007 al C.N.R., sotto la guida del dr. Vincenzo Bellelli, fu assegnato il compito di “riportare nuovamente alla luce” il tempio della valle del Manganello). A riprova di questa funzione occultatrice della vegetazione, sgombrata l’intera area dalle piante infestanti per dare inizio al nuovo scavo, la sorpresa fu grande: la vegetazione spontanea aveva totalmente mascherato l’imboccatura di un terzo “pozzo sacro”. Fra gli oggetti d’eccezione recuperati nel pozzo, spiccava un'”oinochoe” trilobata miniaturistica, una lucerna intatta di vernice nero-brillante e il colore dell’argilla arancio-rosato riconducibile a una produzione attica. Non potevano mancare gli ex voto: un peso integro da telaio, un seno modellato plasticamnete e il braccio di un’infante (forse di una statuetta) con melograna in mano. Per quanto riguardava il materiale fine di mensa, emersero numerosi piattelli di tipo “Genucilia”. A dimostrare l’utilizzo di questi piattelli in contesti sacri-ceretani è il rinvenimento di alcuni esemplari (oltra ad alcune coppette a vernice nera), dell’iscrizione greca “HRA”, Era, ovvero la designazione greca della UNI etrusca (la romana Giunone).
Ora, il tempio del Manganello s’affaccia (di nuovo) sulla valle sottostante, dove il torrentello risuona, da secoli, la sinfonia delle sue placide acque, e gli invisibili fantasmi dei suoi canneti, intrigati dal vento, sospirano il loro stravolgente disilluso amore all’inverecondia luna. – “I pallidi fantasmi dei canneti/coi lor sospiri muovono le foglie/; le lunghe braccia colme di segreti/, le tenue membra evanescenti e spoglie…/”
Dario Rossi