Il non detto

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Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

A chiunque è capitato di frenarsi nell’esprimere qualcosa, un pensiero, un’emozione, un comportamento oppure di capire che un amico, per esempio, non diceva tutto. Ormai è chiaro a molti che la comunicazione è, oltre che verbale, in gran parte non verbale (comportamento, mimica facciale, ecc.) e paraverbale (tono della voce, ritmo della frase, ecc.). Watzlawick afferma che “non si può non comunicare”: ciò vuol dire che anche quando non si vuol dire qualcosa la si dice lo stesso.

Questo concetto emerge molto chiaramente nel non detto delle famiglie. Spesso succede che la famiglia contenga al suo interno dei segreti che si tramandano nelle generazioni ma di cui poche persone sanno qualcosa. Ciò succede, per esempio, quando un famigliare è stato ricoverato in un reparto psichiatrico (quando c’erano i vecchi manicomi) ed era considerato vergognoso, un marchio, oppure quando si evidenziava una violenza sessuale o una morte particolare. Il non detto, qualsiasi esso sia, porta con sé una sensazione di poco chiaro, di poco concluso, nebuloso. La capacità che ha l’essere umano è di essere in grado di intuire il non detto. E questo può essere un’arma a doppio taglio.

Partiamo dalla prima situazione: un persona si trattiene nell’esprimere un’emozione o nel dare una risposta; oppure trattiene un comportamento (abbraccia ma con un certo distacco). Queste reazioni trasmettono delle sensazioni ambigue che, a seconda della relazione tre le persone, possono essere chiarite oppure lasciate in sospeso; il lasciato in sospeso può portare a pregiudizi, spiegazioni non sempre aderenti alla realtà, fino a veri e proprio pregiudizi o cause di litigi. Quando, invece, si parla di famiglie, il non detto diventa un po’ più importante e soprattutto più pesante. Una persona con cui ho lavorato mi raccontava che fin da piccola ha sempre ha sempre avuto una sensazione strana.

Racconta che all’età di circa 20 ha scoperto che un parente era un “noto” molestatore di bambine e aveva molestato una bambina molto vicina a lei. La notizia l’ha talmente sconvolta che è andata subito a dirlo ai suoi genitori arrabbiandosi perché i rapporti con quella persona erano stati sempre mantenuti perchè era la classica “persona di famiglia”. Ricorda benissimo che i suoi genitori hanno cercato di giustificarsi ma che, alla fine, le hanno detto che “non erano affari suoi” ed altre accuse. In pratica aveva svelato il segreto di famiglia modificando un equilibrio fin lì mantenuto; aveva scoperchiato il vaso di pandora. Solo allora ha capito molti eventi e sensazioni della sua vita.

Questi segreti di famiglia sono molto più frequenti di quanto si pensi e sono in ogni grado sociale. È come se nelle generazioni si tramandasse un peso e, ad un certo punto, qualcuno lo prende in carico magari somatizzandolo, spesso con un disturbo mentale, uso di sostanze oppure con disturbi psicosomatici. Infatti, spesso il non detto per eccellenza è la malattia, somatica o psichica. È un modo che la persona ha di venire a patti col non detto, con il segreto di famiglia. Si sa che le emozioni non espresse portano alla loro somatizzazione e ogni persona trova il proprio “organo bersaglio”.

Noi tutti siamo in grado di capire il non detto, anche i bambini. Molti genitori dicono che i bambini non capiscono. I bambini percepiscono che qualcosa non va ma non se lo sanno spiegare e si fanno delle fantasie e delle storie che saranno sempre taciute. Proprio con i bambini è importante dire se sta succedendo qualcosa di importante in famiglia, sempre in modo adatto all’età.

Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

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