Il neorealismo e l’immagine del tempo

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Seconda puntata della nostra inchiesta sul cinema, parliamo di grandi registi che hanno scritto la storia della cultura di Michele Castiello

In questo secondo articolo parliamo per sommi capi del Neorealismo Italiano alla luce della disamina fatta  sempre da A. Bazin.  Però prima di procedere nella esposizione,e cogliere  gli aspetti più importanti,precipui di questo movimento non solo cinematografico, dobbiamo dire grazie, merci beaucoup  ai francesi e riconoscerci, nel contempo, parecchi meriti indiscussi. Il cinema italiano, diretto da grandi registi quali Roberto  Rossellini, Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Giuseppe De Santis prima, e P. Germi, A. Lattuada, L. Zampa  A. Blasetti -sceneggiatori Cesare Zavattini e Sergio Amidei – dopo  (Michelangelo Antonioni, Federico Fellini e P. P. Pasolini hanno una posizione a se stante) attraverso il Neorealismo ha visto per primo con occhi diversi il mondo. Ha saputo raccogliere quello che restava delle città distrutte  dalle bombe della guerra, lavato via il sangue dalle divise e infine non ha avuto paura di raccontare lo smembramento del reale, e questo non solo italiano bensì europeo(1). E’ difficile tornare a pensare quando ciò non ha più lo stesso sapore. (Anche se taluni sostenevano che non era giusto esporsi e mettere ai balconi i panni sporchi *) Bazin, comunque, si sofferma ad analizzare soprattutto la tecnica narrativa, cercando di definire il rapporto tra cinepresa (tipo di inquadratura, raccordi tra inquadrature, movimenti di macchina, etc..) e fatti narrati, ambiente e oggetti. Servendosi di paragoni con la tecnica del romanzo americano ( Hemingway, Steinbeck, Francis S. Fitzgerald) e della pittura francese (H. Matisse, E. Manet, A. Renoir), egli  cerca di dimostrare che la cinepresa è diventata tutt’uno con l’occhio e la mano che la guidano. In tal maniera, secondo il critico francese, il racconto, nasce da una necessità biologica ancor prima che drammatica, e cresce con la verosimiglianza e la libertà della vita. E questo tutt’uno sta proprio ad indicare un occhio che guarda non un montaggio da fare a posteriori, una impostazione- per capirci – quasi  “documentaristica” nel senso cinematografico, che racconta e ci trasmette una realtà sociale “altra”,quotidiana( esterni) ma anche interiore. È soprattutto in un film come Paisà di Rossellini che Bazin vede realizzarsi un radicale mutamento nella costruzione del racconto cinematografico. L’unità del racconto in questo film non è tanto la generica inquadratura,un punto di vista astratto sulla realtà che si analizza, ma il “fatto” in se. Frammento di realtà bruta, molteplice , il cui “senso” viene fuori a posteriori, grazie ad altri fatti tra i quali si viene a stabilire un rapporto. Senza dubbio il regista ha ben scelto tra queste sequenze, rispettando tuttavia la loro integrità e quindi, l’unità del racconto cinematografico in Paisà  non è l’inquadratura -,punto di vista della realtà che si analizza- ma il “fatto”.  E’ il frammento -si diceva- di una realtà concreta , in se stessa multipla ed equivoca, che sollecita l’ interesse del Neorealismo il cui senso viene solo a posteriori grazie ad altri “fatti” tra i quali lo spirito che stabilisce dei  rapporti. Con altre parole Bazin proponeva un nuovo tipo di immagine cioè l’immagine-fatto che caratterizzò tutto quel periodo artistico italiano; questo tipo di corrente che si sviluppò in Italia grazie a De Sica ,Rossellini, Visconti, etc..  anzichè rappresentare un reale già decifrato, mirava a un reale da decifrare sempre ambiguo, per questo il piano sequenza tendeva a sostituire il montaggio classico dell’immagine-movimento.

Nel Neorealismo abbiamo una continua crescita di situazioni ottico- sonore e pure Gilles Deleuze ,a tal proposito, nel primo capitolo dell’Immagine-tempo fa riferimento alla famosissima e celebre sequenza del film Umberto D di De Sica cioè quella in cui la servetta al mattino entra in cucina e compie una serie di gesti meccanici e stanchi… che si distinguono sostanzialmente dalle situazioni senso – motorie dell’immagine-azione del vecchio realismo. Come dice sempre Deleuze nel suo libro… “il personaggio è diventato una specie di spettatore”…..  (cit..). Ha un bel muoversi, correre, agitarsi, la situazione nella quale si trova supera da ogni parte le sue capacità motorie e gli fa vedere e sentire quel che non può essere teoricamente giustificato da una risposta o da una azione….” Come possiamo vedere, secondo il filosofo francese, il personaggio più che agire registra e subisce l’azione. Questo elemento è molto importante perché mette in crisi l’immagine-azione. Un ruolo molto importante in questo film è sicuramente quello del bambino, infatti come sostiene Deleuze, l’enfant soffre di una certa impotenza motoria, che lo rende però ancora più capace di vedere e di sentire, e quindi di essere più veggente di tutti gli altri personaggi. A tal proposito vediamo cosa dice Bazin  del ruolo del bambino nel film Ladri di biciclette di De Sica:..” la trovata del bambino è un colpo di genio di cui non si sa se -in ultima analisi -è insita nella sceneggiatura oppure nella regia, tanto questa distinzione perde in questo caso di senso…”( cit..) E’ il bambino a dare all’avventura dell’operaio la sua dimensione etica e a scavare una prospettiva morale, individuale in questo dramma che potrebbe essere solo sociale. Toglietelo e la storia resta sostanzialmente identica,la prova la riassumereste alla stessa maniera. La situazione senso – motoria ha come spazio un ambiente ben definito e presuppone un azione che la sveli, o susciti una reazione, che vi si adatti o la modifichi. “… Quest’ aderenza perfetta e naturale all’attualità si spiega e si giustifica tramite un’adesione spirituale all’epoca […] il cinema italiano è il solo a salvare, nel seno stesso dell’epoca che dipinge, un umanesimo rivoluzionario […]”. Rompendo gli schemi spaziali e temporali il cinema neorealista ha mostrato in modo puro il reale per quello che è, ancor prima di giudicarlo o edulcorarlo. E questo lo avevano capito molto bene i padri della Nouvelle Vogue ( Godard,  Truffaut, Rohmer, etc..).L’umiliazione dei miseri ha di colpo messo in disparte lo charme delle dive hollywoodiane. La purezza della vita si è imposta attraverso la voce del dialetto. La naturalezza dei volti anonimi, ma indimenticabili, ci ha reso tutti protagonisti, nessuno escluso.  Lo spazio virtuale dell’immaginario cinematografico raccoglie così in sé l’attualità di tutto il reale e l’immagine che noi di questo abbiamo. Dunque, chiedersi che cosa è il cinema significa chiedersi cosa è la realtà che ci scorre davanti agli occhi. …”Lo schermo stesso è la membrana cerebrale in cui si affrontano immediatamente, direttamente, il passato e il futuro, l’interno e l’esterno senza distanza assegnabile, indipendentemente da qualsiasi punto .”(cit..) …Certo è che nella storia del cinema questo è solo l’inizio di un lungo viaggio e qui, in questa rubrica, non abbiamo la possibilità, né lo spazio sufficiente per fare lunghi e profondi discorsi estetici, quindi tentiamo con garbata modestia di raccontarlo per sommi capi. Anche se in gioventù mi intestardivo a comprendere meglio il linguaggio cinematografico, o appuntavo i film da vedere, o premevo il tasto riavvolgere per ritornare su alcune scene, ho riflettuto successivamente a lungo sulla cruda dolcezza dell’esistenza e poi sull’estetica delle emozioni che questo cinema emanava. Poichè il Neorealismo è  essenzialmente questo e devo confessare che a distanza di anni  il fascino che emana il testo di  Bazin  è ancora intatto e il mio interesse non si è ancora assopito. Abbiamo ancora molto da vedere, sia sul grande schermo che nella vita. Ritornando per un attimo ancora al concetto dell’immagine- tempo e lo spazio delle situazioni quotidiane che esso occupa, Deleuze lo definisce uno “spazio qualsiasi”, giacchè la vita quotidiana e la banalità stessa della quotidianità lascia sussistere soltanto legami senso – motori deboli e sostituisce l’immagine azione con immagini ottiche sonore pure. Queste situazioni rendono sensibili il tempo, il pensiero tanto da renderli visivi e sonori. Dirò soltanto che questa situazione puramente ottico- sonora risveglia una funzione di veggenza, in cui il personaggio è uno spettatore che si limita a guardare ed assistere a questa realtà quotidiana “subendo” l’azione. Queste condizioni hanno subordinato il movimento e si legano direttamente all’Immagine- tempo.. La situazione, secondo Deleuze, deve essere “letta” quando si perdono tutti i movimenti senso – motori e si dà libero sfogo alle tensioni in noi raccolte per tanto tempo e si libra nell’aria tutta la nostra capacita di immaginazione e fantasia in cui  si è rapiti dal sogno (anche) erotico delle emozioni. Termino qui questo secondo capitolo che è in un certo modo propedeutico ai tre successivi che riguarderanno l’interazione del cinema con le altre arti e/o discipline estetiche,anche perché non vorrei tediare i lettori parlando della radicale rielaborazione che Deleuze fa sul cinema il cui pensiero  (in definitiva) presuppone una ridefinizione dell’essenza della settima arte. Dirò soltanto che la teoria per lui non si fonda sul cinema ( come “semplice” Arte delle visione) ma sui concetti da esso suscitati.