IL DOTTO ARTERIOSO PERVIO E L’ORIGINE DELLA SPECIE UMANA

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origine specie umana
pesci
Dottor Professor
Aldo Ercoli

Ripassando e ristudiando una cardiopatia congenita quale la persistenza del dotto arteriosa (in inglese PDA) o dotto arterioso pervio (DAP, noi un tempo la chiamavamo cosi) ho avuto delle conferme sull’origine della specie umana.

La malattia rappresenta uno dei più frequenti difetti cardiaci congeniti ed è soprattutto comune nei nati da madri che contraggono la rosolia nelle fasi precoci (specie primo mese) della gravidanza. E’ anche piuttosto comune nei neonati prematuri la cui prematurità impedisce la chiusura del dotto. Ma in che consiste la malattia?
Nella vita fetale c’è una comunicazione, appunto un dotto, che mette in comunicazione l’arteria polmonare con l’aorta. Questo è necessario per la sopravvivenza fetale in quanto i polmoncini sono due piccole “spugnette” che non necessitano di essere irrorati da grande quantità di sangue che dal ventricolo destro si immette nell’arteria polmonare per raggiungere appunto i “polmoncini”. Ecco pertanto che grazie a questa connessione il sangue si immette in aorta. Quando però alla nascita con i primi vagiti il neonato comincia a respirare ecco che il dotto arterioso (polmonare – aortico) di chiude nei soggetti normali. In quaranta anni di cardiologia attiva, prima ospedaliera poi territoriale, ho trovato alcuni casi di queste cardiopatie congenite che si manifestano non nell’infanzia ma nei soggetti adulti. Ricordo che negli anni 80 in una donna, che aveva da poco superato i 35 anni (di nome Paola), gli scoprii la patologia. Era una signora che gli piaceva molto ballare ma da un po’ di tempo accusava affanno (dispnea da sforzo) e si sentiva molto affaticata. Dall’esame obiettivo (visita cardiologica), ECG e Rx torace la inviai presso un noto cardiochirurgo che la trattò brillantemente (chiusura transcatetere) riportandola alla vita normale.

Mi ricordo bene il caso perché Paola che risiedeva a Roma, venne a farsi visitare da me a Ladispoli per circa una ventina di anni.Poi la persi di vista. Ho riportato questo caso clinico perché, come accennavo all’inizio, mi ha fatto riflettere sull’origine dell’umanità.L’embrione umano nei primi stadi di sviluppo ricapitola lo stadio evolutivo ancestrale. Pensate che vi sono sei archi aortici che connettono due aorte, quella ventrale e dorsale, come parte del sistema brachiale.
Il feto vive come un pesciolino? Siamo nati dal mare, deriviamo dai pesci? Nell’adulto normale il quarto arco aortico sinistro è mantenuto come arco aortico dall’aorta adulta, mentre il sesto arco aortico sinistro da invece origine all’arteria polmonare e al legamento arterioso (dotto arterioso chiuso). L’embrione, divenuto feto dopo il terzo mese, viene allora nutrito dalla placenta e rappresenta un processo unico con la respirazione. E’ il sangue materno che fornisce tutte le sostanze necessarie, sia quelle nutritizie che l’ossigeno. Quando si passa dallo stato embrionale a quello fetale, ossia quando la circolazione onfalomesenterica viene sostituita da quella placentare persiste questo dotto che mette in comunicazione l’arteria polmonare con l’aorta. Ripeto solo alla nascita, nei soggetti normali, si chiude. Il feto è immerso in un liquido, detto amniotico, vive nell’acqua come un pesce che ha le branchie, organi della respirazione che utilizzano l’ossigeno disciolto nell’acqua. Non è questo un chiaro indizio che i pesci siano stati i nostri precursori,dei lontanissimi antenati acquatici? Dal mare sono poi approdati sulla terra diventando anfibi, rettili, uccelli, mammiferi. L’amnios è la parte interna delle membrane che avvolgono il feto. E’ presente solo negli amnioti, vertebrati quali rettili, uccelli, mammiferi caratterizzati dalla presenza nell’embrione, di annessi embrionali, che servono alla respirazione, all’escrezione, alla protezione.Credo, anzi sono convinto (e non sono né certo il primo né il solo) che noi siamo degli amnioti terrestri che hanno, evolvendosi, lasciato la vita acquatica.