Il contributo della Sociologia nell’era dell’intelligenza artificiale

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intelligenza artificiale

di Pietro Zocconali

Presso l’Università Sapienza di Roma si è appena svolto un convegno sull’intelligenza artificiale. Tra i relatori il prof. Roberto Vacca, scienziato, scrittore e ottimo divulgatore scientifico (da ricordare il best seller “Il Medioevo prossimo futuro”, del 1971).Nel mio intervento ho sottolineato la mia passione per gli argomenti trattati da questa tematica; questi toccano numerose discipline: se ne parla nella divulgazione scientifica, nella fantascienza, fantasy, filosofia, futurologia, informatica, architettura, ingegneria; e numerosi studiosi, fin dall’800 si sono cimentati in opere che a volte sono risultate capolavori immortali, vedasi ad es. Frankenstein, di Mary Shelley (1818).

Nel 1948, l’anno in cui è nato il sottoscritto, viene pubblicato il libro “1984” scritto da George Orwell; lì è stata coniata la locuzione “grande fratello”, resa famosa ai giorni nostri da un quasi osceno, pruriginoso, voyeuristico programma televisivo con protagonisti dei “poveri diavoli”, per loro stessa volontà rinchiusi in una location piena di telecamere; “Big Brother” è un format di reality show creato da un imprenditore, produttore  e  autore televisivo olandese, ed è trasmesso in oltre 40 paesi nel mondo, Italia compresa. Ma torniamo al libro; un testo catastrofista che, sociologicamente parlando, narra di regime poliziesco, telecamere di controllo, altoparlanti e schermi televisivi inseriti dappertutto, nel pubblico e nel privato, comprese tutte le stanze degli appartamenti, un controllo totale e un impedimento ai comuni mortali di vivere una propria privacy, il tutto con continue somministrazioni di informazioni pilotate su schermi inseriti dappertutto che riportano resoconti bellici nei quali si parla di un fantomatico nemico da combattere strenuamente.

Il tutto è iniziato probabilmente dall’esigenza di controllare la popolazione più irrequieta e antigovernativa. Ma alla fine si è giunti al controllo globale, anche dell’amore familiare. Tutto ciò è sociologia ed oggi, a 71 anni dalla pubblicazione di quel libro da parte del visionario Orwell stiamo impercettibilmente avviandoci verso quel tipo di società. Noi studiosi di sociologia siamo chiamati al lavoro per cercare di evitare certe derive nocive.

Gli ingredienti ci sono tutti: il nemico comune, la crescita esponenziale di telecamere, i telefonini che, con l’aiuto del sistema satellitare danno a chiunque lo voglia la nostra posizione, istante per istante. Nelle nostre case stiamo attivando, dentro e fuori, telecamere di sorveglianza che dovrebbero allontanare i male intenzionati ma che potrebbero rivelarsi come dei “cavalli di Troia”.

Da parte mia, sono il primo, nei casi di delitti stradali, di stalker assassini, di malviventi che cercano di vivere al di fuori della legge, a invocare controlli con telecamere e intercettazioni di dialoghi ai cellulari, però sarete tutti d’accordo con me nel reputare eccessivo il controllo dei nostri telefoni, dei nostri discorsi attraverso la tecnologia che sfrutta i più recenti ritrovati. Provate a scrivere su Google, ad es. “viaggio a Bologna”, da quel momento vi arriveranno una serie di messaggi con i più convenienti alberghi di quella città e le varie modalità per arrivarci. Lo scorso anno a febbraio sono andato a Palermo per un convegno, e da allora mi arrivano di frequente offerte super economiche di voli e di alberghi relativi a quella bella città.

Quasi 100 anni fa, nel 1927, uscì il film Metropolis, diretto da Fritz Lang; trama antiutopistica che si svolge nel lontano futuro, esattamente nel 2026: un inventore rapisce una ragazza e, per mezzo di un congegno basato su onde elettromagnetiche, copia l’esteriorità di questa e la trasferisce al robot, HEL, robot che con lampi, fasci di luce e occhi di ghiaccio credo abbia rovinato con quegli effetti speciali i sonni dei nostri nonni e bisnonni. (Il nome Hel ci ricorda il computer assassino Hal 9000 di “2001 Odissea nello spazio” del 1968 prodotto, scritto e diretto da Stanley Kubrick, basato su un soggetto di Arthur C. Clarke).

Non parliamo poi del robot gigante di Robert Wise in “Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still)”, del 1951, che con i raggi distruttivi scaturiti dagli occhi ha terrorizzato e cinefili di allora.

Ma da dove deriva questa strana parola Robot?

Il ceco Karel Capek nel 1920 pubblico R.U.R. (sigla traducibile come “I robot universali di Rossum”) in quest’opera per la prima volta compare il termine robot, che viene inventato derivandolo dalla parola ceca robota (“lavoro”). In seguito, il fortunatissimo termine robot prese ad indicare soprattutto organismi meccanici ed è stato uno dei cavalli di battaglia dello scrittore e divulgatore scientifico statunitense Isaac Asimov, Io Robot (I Robot) 1950, Il secondo libro dei robot (The Rest of the Robots), 1964.

Sentite di quali problemi sociali e sociologici parlava Isaac Asimov nel 1953, in “Abissi d’acciaio” e, qualche anno dopo, in “Sole nudo”:

Lo scrittore narra la storia lavorativa di due dei personaggi tra i più riusciti e popolari della sua produzione letteraria, il detective umano Elijah Baley e il robot R. Daneel Olivaw. La vicenda si svolge nel lontano futuro; molti problemi che ci attanagliano oggi sono stati superati, con la parità tra i due sessi, tra bianchi e “colorati”, ma, quando al poliziotto umano viene affiancato come compagno di lavoro un robot scoccano le scintille: è sempre la paura del diverso (un diverso sfacciatamente superiore per certi aspetti), ed è sempre una forma di razzismo. Con il tempo i due riescono ad andare d’accordo, sfruttando la precisione della macchina dell’uno e l’umanità dell’altro. In fin dei conti diverso è bello.

Per chiudere voglio accennare su questa tematica ad un concetto molto attuale: si pensi ad una qualsiasi fabbrica di fine ’800, con centinaia di operai che lavorano gomito a gomito, e ad una fabbrica moderna con decine di robot e un solo ingegnere che, da dentro una cabina, insonorizzata e con l’aria condizionata, controlla il lavoro delle macchine, lavoro di una produzione infinitamente più grande di quella di duecento braccia umane.

Direte voi ma gli altri novantanove operai cosa gli facciamo fare?

Così va il mondo, noi esseri umani con la nostra intelligenza dobbiamo saper cavalcare la tecnologia, Se non serve più l’apporto dei nostri muscoli, per sopravvivere bisognerà sempre più adoperare il cervello, studiare sempre e non soltanto in età scolare, essere attratti dalle novità e, a prescindere dall’età non perdere nessun treno del progresso scientifico e tecnologico.

Guai a chi, sentendosi arrivato rifiuta gli aggiornamenti e lo studio, in breve verrà messo in un angolo e tenuto fuori dal mercato.

 

Biblio-filmografia

Isaac Asimov, “Abissi d’acciaio (The Caves of Steel)”, 1953

Isaac Asimov, “Il secondo libro dei robot (The Rest of the Robots)”, 1964

Isaac Asimov, “Io Robot (I Robot)”, 1950

Isaac Asimov “Sole nudo (The Naked Sun)”, 1957

Roberto Benigni, Massimo Troisi, “Non ci resta che piangere”, 1984

Karel Capek, “R.U.R.”, 1920

Stanley Kubrick, “2001 Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey)”, 1968

Fritz Lang,Metropolis”, 1927

George Orwell, “1984”, 1948

Mary Shelley, “Frankenstein”, 1818

Herbert George Wells, “La macchina del tempo (The Time Machine)”, 1895

Roberto Vacca, “Il Medioevo prossimo futuro”, 1971

Robert Wise “Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still)”, 1951