CERVETERI: I VECCHI ABITANTI SOTTO ATTACCO DEI CYBERBULLI E DI SNOB INGRATI
di Angelo Alfani
Cerveteri, nella sua storia moderna, si è sempre dimostrata cittadina ospitale e generosa. Una densità di popolazione insignificante a fronte della vastità del territorio, confinante con una Capitale sempre più inospitale e colonizzatrice dei territori limitrofi, le ha permesso di “assorbire”, senza traumi incurabili, le migliaia di nuovi concittadini che, con diverse ondate, hanno “spiaggiato” nelle terre dell’antica Agylla.
Un “popolo”, quello cervetrano, ruvido come carta vetrata, che saluta con movimento di avambraccio appena accennato, non “contaminato” per secula seculorum, ha avuto il coraggio di condividere il suo forziere con l’umanità più diversa: proveniente da ogni luogo della Penisola, dall’ex impero Austro-Ungarico alle Isole, e, nell’ultimo trentennio, dai Paesi a regime stalinista.
Mi preme ribadire questo concetto basico proprio perché mi infastidiscono le voci di alcuni nuovi arrivati che alcune volte si lasciano andare a giudizi trancianti nei confronti dei cervetrani, negando l’ovvietà di essere comunque stati ospitati con benevolenza.
Molto spesso sono quelli che dovrebbero portare l’acqua con le orecchie ai vecchi cervetrani (diciamo quelli battezzati da don Luigi e don Quirino), che, con atteggiamenti incivili negano nei fatti la Comunità che ancora, testardamente, sopravvive nel Paese e che ancora prova ad arginare violenza e cultura dominante, essendo l’unico vaccino, in un momento in cui prevale invece la esaltazione della parte competitiva di ciascuno di noi.
Alcuni di questi critici-snob sono assettati addirittura al Granarone, alcuni altri sopravvivono grazie a prebende comunali o comunque pubbliche. Non ci sta istituzione pubblica o religiosa “contaminata”, come giusto che sia, da quelli che i più “ancestrali” chiamano ancora “forestieri”: dalla Banda musicale alla Confraternita, dalla squadra di calcio all’occupazione delle poche case comunali. Ma si sa che succede anche nelle migliori famiglie che i più remunerati “sputano sul piatto in cui hanno mangiato“.
Nel tempo in cui i tatuaggi non erano ancora superflui, quando nei due molini si frangeva l’oliva, consuetudine voleva che si potesse “intigne” un culetto di pane bruscato nell’olio ancora verde e profumato che scivolava nelle vasche a piastrelle bianche.
Vi è ancora fievole ricordo della distribuzione delle “ciriole” che la signora Carlotta Rosi organizzava, ogni anno, in occasione della festa grande della Comunità.
In anni più recenti, ed ancora oggi grazie ai Massari di Sant’Antonio, il giorno della festa del Santo protettore degli omini e delle bestie, si distribuiscono migliaia di panini con la porchetta. Non è il valore in sé dell’oggetto donato quanto il significato del gesto.
Leggendo le somarate che circolano sui cosiddetti social, che sarebbe corretto definirli anti-social, sui Cervetrani come residuati di un mondo premoderno, ascoltando le dichiarazioni che li bollano come “trapassato remoto da inglobare nel mare magnum ladispolense”, mi viene da riflettere su quanto riporta Erodoto nelle sue Storie:”Siccome quasi tutto il territorio di Cnido (colonia greca nell’Anatolia) è circondato dal mare, eccetto una piccola parte, proprio in questa piccola parte, i Cnidi, quando Arpago, grande generale Persiano, soggiogava la Ionia, avevano intrapreso lo scavo di un canale. Volevano, cioè, fare un’isola del loro paese. L’istmo su cui iniziarono a scavare il canale si trova proprio là dove il territorio di Cnido finisce verso il continente. Ed infatti erano intenti al lavoro con molta gente, ma, poiché gli infortuni che capitavano ai lavoratori, a causa delle schegge di pietra, in tutto il corpo, e soprattutto negli occhi, apparivano un po’ più frequenti del solito e rivelavano uno speciale intervento divino, essi mandarono a Delfi degli incaricati a chiedere che cosa li avversasse. E la Pizia rispose: “Non fortificate l’istmo e non scavate canali; poiché Zeus stesso l’avrebbe fatto isola, se l’avesse voluto”. A questa risposta della Pizia interruppero il lavoro di scavo e quando il generale Arpago sopraggiunse con l’esercito e centinaia di cammelli con arcieri in groppa, si arresero senza combattere.”