Il Bosco Enel è della città e va difeso

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Civitavecchia. Il bosco Enel è della città e, sebbene non fruibile, va difeso. Appare non accettabile che Enel, dopo decenni di inquinamento di questo territorio, decida ora di andarsene al minor costo possibile, senza smantellare la centrale (opera che darebbe qualche anno di agio ai lavoratori dell’indotto) e svendendo quanto possibile, compreso quel bosco ENEL per il quale l’intera città ha lottato e che rappresenta uno dei risarcimenti ambientali minimali rispetto ai veleni scaricati sulle nostre vite.

Riteniamo sia doveroso ricordare a tutti la storia di questo bosco ENEL nato in ottemperanza ad una prescrizione VIA della Centrale a carbone di Torrevaldaliga Nord. La logica era duplice ovvero equilibrare, sebbene minimamente, l’enorme massa di CO2 emessa dalla combustione del carbone con la presenza di un bosco a cinta della centrale e mitigare l’effetto colpo di calore determinato dagli inquinanti secondari (ozono). Non a caso Civitavecchia, dal 2008 (data di inizio esercizio della centrale), è stata inserita nell’elenco delle città monitorate per le bolle di calore.

L’area dove fu realizzato detto Bosco fu appellata Parco dei Serbatoi perché in quell’aria c’erano, appunto i serbatoi dell’ENEL, cosa che determinò una forte contaminazione da idrocarburi che fu aggravata dal posizionamento illegittimo (ma sanato successivamente) in quell’area, una volta rimossi i serbatoi, di ben 338.000 mc di escavo derivante dal molo carbonifero. Tale area non è stata mai bonificata né dagli idrocarburi, né dagli agenti salini. Con questa scusa né Enel, per evitare la spesa, né l’allora sindaco Moscherini, che sull’area aveva altre mire tanto da ricorrere (perdendo) anche al TAR, volevano fosse realizzato il bosco. Grazie ad una forte mobilitazione cittadina, alla raccolta di 2768 firme e all’intervento del Forum Ambientalista sia sulla Procura che sui Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico che diffidarono l’Ente energetico obbligandolo all’ottemperanza delle prescrizioni, l’Enel fu costretta a realizzare il bosco.

I lavori di piantumazione (11.500 alberi tra cui ulivi, cipressi, pini domestici e lecci e 55.800 arbusti – dati ENEL – EMAS 2016) del bosco sono finiti nel 2014, quindi gli alberi e le essenze arboree hanno appena 10 anni. Si ricorda che, causa mancata bonifica, il parco non è fruibile al pubblico e i costi della mancata bonifica furono spostati su altri interventi ( risistemazione dei parchi cittadini, interventi patrimonio arboreo, etc…). Ovviamente, come già si prevedeva, gli alberi, ancorché giovani, hanno faticato ad attecchire a causa del terreno gravemente contaminato, ma stanno comunque crescendo, contribuendo alla lenta decontaminazione dell’area che ha acquistato una sua valenza ecologica negli equilibri del territorio.

Consentire la rimozione di detto bosco, nato da lotte cittadine e quale compensazione ambientale al grave impatto che la centrale a carbone ha avuto e continua ad avere sulla salute della popolazione, è un’offesa all’intera comunità oltre che una scarsa consapevolezza di come funzionano gli equilibri ambientali di un territorio. Riteniamo peraltro che sia inaccettabile che in un’area che a detta di diversi pareri, prima fra tutte la specifica commissione del Ministero dell’ambiente, non è fruibile ai cittadini in quanto inquinata, sia invece, senza prima subire una bonifica che costerebbe milioni, considerata area idonea per farci lavorare le persone.

Quel Parco è della città e, sebbene non fruibile, va difeso. Ci saremmo aspettati che su questo l’Amministrazione Comunale, i cui rappresentanti di maggioranza, per la quasi totalità, sono tra i 2768 firmatari che chiesero la realizzazione del bosco, fosse in prima linea invece di assecondare, come ci pare di comprendere, le insostenibili richieste di ENEL ipotizzando un irrealistico spostamento del bosco per realizzare in tale area un megaparcheggio che ben poco lavoro porterebbe alla città e che nulla ha a che vedere con quella transizione ecologica che quanti amministrano oggi la città dicevano di voler perseguire. E certo nulla ha a che vedere con la transizione ecologica fare una gettata di asfalto di 40 ettari, creando un’ulteriore isola di calore ed eliminando un’area verde di cui non solo si perderebbe la funzione ecologica di filtro naturale acqua/ terra/aria propria degli alberi, con cui verrebbero sigillate nel suolo molte sostanze contaminanti con evidenti rischi per la salute pubblica.

LIPU BIRDLIFE
FORUM AMBIENTALISTA ODV