“LA COSA PIÙ INTERESSANTE DELL’ITALIA È LA SUA DISUNITÀ”.
di Angelo Alfani
Da quando il quartetto dei costruttori delle terre di Ladislao ha fatto del suolo sua riserva e risorsa esclusiva, da quando i mercanti hanno invaso il tempio del Granarone per far commercio di parole, le fesserie sul mozzico di futuro di questo territorio sono fitte quanto i moscerini nella grotta di Antonio la volpe.
Tra gli accidiosi, stanziali tra il Sanguinara ed il Vaccino, tiene banco, da alcuni giorni e per pochi altri ancora, quella sull’indispensabilità del ri-accoppiamento tra Cerveteri e Ladispoli.
I più irrequieti e sfrontati tra loro trovano alleati in una certa “sinistra”, ed anche questo rientra a buon diritto nella storia italica. Il tutto condito, come alchermes nella zuppa inglese, da certezze economiche derivanti da un auspicato e prodigioso aumento del drenaggio di soldi pubblici, ampliando la teoria del “più semo, mejo stamo” col “più semo, più pjamo”.
L’odierno homo oeconomicus e politicus sembra afflitto dalla sindrome del cuculo “distruggere i mondi quando sono in vita per poi piangerli e rimpiangerli quando sono ormai defunti o moribondi”. Preso dall’accidia, ho effettuato anche io un sondaggio, definiamolo casereccio, utilizzando Pagine Bianche e dei dadi, ed ho telefonato all’abbonato corrispondente al numero uscito. Venticinque le risposte ricevute. Molte le risposte del tipo: “Ma sempre a rompere le scatole con ste’ fesserie…Ma con tanti cacchi che tenemo!? Ma nun ci hai gniente de mejo da fa, fjarello mio!?.”
I due terzi, entrati nel merito, hanno risposto: “Ma che so matti!?…Ma per carità divina!…Ma nun se ne parla proprio!…Adesso che hanno finito de costruì vonno venì da noi!…Ma annassero a… Ma che gniente gniente vonno fa er Benelux!?”.
Solo due hanno detto: “Visto quello che i cervetrani hanno saputo fa, sta a vede che è mejo che vengono i ladispolani!…Dipende: chi sta sopra e chi sta sotto!?…Ma, forse si può risparmiare qualcosa!”. Risultato di un passato recente, di rapporti da sempre 27 increspati tra le due comunità assolutamente non digeriti? Può starci.
Due esempi. Quando, dopo insistenti e ripetute richieste anche a mezzo di pubblica sottoscrizione della Popolazione di Palo-Ladispoli, circa 1.000 abitanti, l’Amministrazione cervetrana, il ventotto di dicembre del ’46 all’unanimità (eccetto quattro assenti dei 15 consiglieri) ne accettò l’assorbimento, il territorio della Frazione comprendeva le zone di Palo-Ladispoli-Monteroni, con un’estensione complessiva di Ha. 1517.
Ladispoli (fogli mappali 58-61-62-63) Ha.191
Palo (fogli mappali 59-66-67-68) Ha. 375
Monteroni (fogli mappali 60-64-65) Ha. 951
Totale complessivo Ha. 1.517
Nel momento dell’abbandono del tetto coniugale di un matrimonio coatto che non ebbe manco la possibilità di festeggiare le nozze d’argento al Cavallino Bianco e/o al Cielo e mare, Ladispoli se ne trovò 2.590 di ettari. E pensare che nella delibera dell’assorbimento il Sindaco concludeva con enfasi: “Sicuro di interpretare il sentimento di tutto il Popolo di Cerveteri, dichiaro che la nuova delegazione di Ladispoli verrà a formare in nucleo Marino-Balneare di Cerveteri ed avrà il trattamento e sarà considerata come vera e propria terra Cerveterana”.
Altro esempio: grazie ad una politica furba,a volte spregiudicata, molte delle funzioni pubbliche e private (caserme, scuole superiori, stazioni efficienti, centri commerciali, centri per la salute pubblica e privata, piscine e centri sportivi come Cristo comanda, funzioni fondamentali delle Poste) si sono insediate o traslocate a mare.
Se gli strilloni della riunificazione desiderano fare qualcosa per le due Comunità potrebbero adoperarsi per affidare ad una unica società la raccolta della monnezza, potrebbero decidere di non sprecare altro suolo, di lottare per il riuso dell’esistente, già sovrabbondante, decidere di sospendere la carneficina dei piccoli esercenti causata dai centri commerciali, di trovare una programmazione condivisa per l’utilizzo del dispendioso Silos culturale ladispolano invece di spendere circa un milione di euro per la volgare cabina dell’Enel alla Boccetta, ed altro ancora. La foto che apre questo articolo è stata scattata da un domenicano irlandese P.P. Mackey alla fine dell’ottocento ed appartiene all’Archivio della BSR. Mostra un paese arroccato, che a prima vista sembra respingerti tanta è la suggestione che impone, ma che poi, penetrato, ti avvolge, ti racchiude tra i vicoli che corrono sopra strisciate di rosso tufo. Un paese che si lascia anche velocemente abbandonare, scendendo giù per le stradine di terra calpestate dagli esseri del creato, bianche, tra il verde dei campi, accompagnate da sinuose staccionate.
“Il paese allora e per molti decenni ancora, cominciava e finiva in un modo preciso, non aveva sfrangiature, era sempre una bella forma, tutto era connesso ed intrecciato. C’era un umore comune che era di quel luogo e non di un altro”. “I luoghi continuano a vivere fino a quando ci sono persone ad essi legate, da essi provenienti, fino a quando qualcuno, magari discendente delle persone nate nei luoghi, ne avrà ricordo” scrive l’antropologo Vito Teti. Retorica, nostalgia!? Per dirla con Pasolini può esserci anche una “nostalgia sovversiva”.