I FAMIGLIARI DELLA PERSONA CON DEMENZA

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Giovedì scorso si è celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer e, ad un convegno a Roma, si è fatto il punto della situazione della ricerca, della terapia farmacologica, dei progetti e dei protocolli del Ministero della Sanità su come affrontare in modo medico e non medico questa patologia degenerativa del SNC.

Una buona fetta è stata dedicata alle terapie non farmacologiche e ai famigliari. È importante evidenziare che non necessariamente i famigliari sono i principali caregivers dell’anziano con demenza. Il caregiver è la figura che si occupa in tutto o in buona parte dell’anziano; per questo motivo il caregiver principale può essere il coniuge, il figlio (o i figli se c’è un buon accordo) o il/la badante (assistente famigliare).

La demenza, nelle sue varie forme, è una malattia devastante non solo per la persona “malata” ma anche per i suoi famigliari. La parte iniziale coincide con la diagnosi ma già i primi sintomi sono presenti da anni e hanno già creato delle crepe nella famiglia. Con la diagnosi la famiglia inizia a spiegarsi il significato di determinati “comportamenti strani” “presenti da un po’” a cui ha reagito in svariati modi. I famigliari iniziano a sentire i primi sensi di colpa e a pensare “se ci avessi pensato prima magari si sarebbe potuto intervenire prima” oppure “non avrei dovuto reagire in quel modo perché non era colpa sua, non lo faceva apposta”.

I primi tempi sono momenti molto difficili anche per la persona che ha ricevuto la diagnosi: può reagire con depressione grave, negazione o altre varie reazioni. Ciò che effettivamente succede alla persona è che si alternano momenti di lucidità in cui “la mente funziona come sempre” a momenti, sempre più frequenti, in cui si manifestano disorientamento spazio-temporale, amnesie, disconoscimento delle persone conosciute, aggressività improvvisa, disinibizione (verbale o comportamentale), possibili disturbi del pensiero (deliri) e difficoltà di portare a termine azioni ben conosciute (tipo fare il caffè).

Il famigliare può reagire in diversi modi: continuando come se non stesse succedendo nulla (negazione e dissociazione) oppure razionalizzando (“è una malattia a cui non ci sono rimedi”) oppure agire in modo tale da recuperare risorse interne/esterne, vecchie/nuove per affrontare la malattia.

L’andamento della malattia è sempre personale: può avere un andamento ciclico, un andamento a gradini, si possono presentare peggioramenti con recuperi successivi (spesso in presenza di TIA) oppure, nel peggiore dei casi, una aggravamento rapido. Tutto ciò mette a dura prova i famigliari e i caregivers poiché è difficile ipotizzare gli sviluppi futuri, spesso le terapie farmacologiche danno benefici a breve termine ma a lungo termine possono dare degli effetti collaterali importanti.

Il momento peggiore è il passaggio nel discontrollo degli sfinteri con l’uso del pannolone. Questo momento mette molto in crisi i famigliari poiché si tocca con mano l’involuzione derivata dalla malattia. Spesso i famigliari, i figli raccontano “questo non è più mio papà/ mia mamma…è solo l’involucro, il corpo ma non è più la persona che mi ha cresciuto”.

Ciò succede anche per quei famigliari che erano in forte conflitto e che notano, ora, un ammorbidimento del carattere del genitore/coniuge e qui la sofferenza spesso si fa più forte. I famigliari necessitano di sostegno spesso molto di più del “malato”.

psicologia giuridica
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta Psicologa Giuridico-Forense
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