“Grazie al pronto soccorso di Ladispoli per avermi salvato la vita”

0
14593

di Felicia Caggianelli

Questa che vi raccontiamo è una storia di buona sanità che ha visto protagonista il signor Claudio una sera d’agosto.

Non ha voluto rendere noto il cognome per una questione di pudore che solo le persone educate e riservate hanno nell’indole. È una storia con lieto fine, per fortuna,  solo grazie a chi ha saputo intervenire prontamente con grande professionalità, responsabilità e competenza. È la storia di chi si è rivolto ad una struttura sanitaria del territorio sulla quale grava una spada di Damocle da tempo. Un presidio che qualcuno ritiene quasi superfluo e che rischia di chiudere i battenti in un futuro prossimo. Eppure grazie a questa struttura, ed a chi ci lavora, il signor Claudio, ha avuto salva la vita e questa bella vicenda di grande professionalità ha deciso di raccontarla.

Signor Claudio, com’è iniziato il tutto ?

“Tutto inizia ad agosto. Galeotto è stato  un antibiotico al quale sono ricorso per la seconda volta per curare l’ infiammazione ad un dente. Sì, perché  lo stesso antibiotico lo avevo preso un mese prima per cercare di far sfiammare un dente che mi procurava dolore. Fatto sta che lo stesso antibiotico un mese prima non mi aveva dato problemi, a distanza di trenta giorni mi ha provocato uno shock anafilattico”.

Era la prima volta che le succedeva un evento del genere?

“Sinceramente un episodio simile mi era successo molti anni prima sempre a causa della somministrazione di un antibiotico. Profilassi  necessaria in quanto ero stato sottoposto ad un intervento chirurgico”.

Ci racconta i fatti?

“L’11 agosto mi si sono ripresentati, a distanza di quattro settimane,  i sintomi dell’infiammazione al dente ed ho ripreso una pastiglia di antibiotico, lo stesso di un mese fa. A distanza di un’ ora, mentre ero sotto la doccia, ho iniziato a sentire uno strano bruciore, associato ad un terribile prurito. Subito il mio corpo ha iniziato a gonfiarsi. Avevo gli occhi che mi uscivano fuori dalle orbite e la gola mi si stava chiudendo.  Da premettere che mia moglie è infermiera ma non è potuta intervenite in quanto in casa, in quel momento, avevamo solo un milligrammo e mezzo di cortisone, troppo poco per arrestare l’avanzata della reazione allergica in corso, visto che ne servivano ben quattro milligrammi”.

Cos’ha fatto allora?

“Non nascondo che non sapevo più che fare. Sono uscito e mi sono recato in  farmacia per acquistare le fiale di cortisone per endovena. E nonostante mia moglie  cercasse di calmarmi, io sono salito in macchina e sono partito. Nel frattempo mi guardavo allo specchietto e vedevo la situazione peggiorare. Il mio viso era sempre più  gonfio e rosso, in pratica ero diventato una sorta di dottor Jackil. Mostruoso”.

Cosa ha pensato in quei momenti?

“E’ difficile restare lucidi. Sinceramente non so cosa sia successo in quel frangente, ma sta di fatto che l’istinto di sopravvivenza, forse, mi è venuto in aiuto.  Passando davanti al pronto soccorso ricordo di aver pensato, io provo ad entrare e così ho fatto. Era tutto buio, non c’era nessuno. Il vigilante quando mi ha visto ho notato che  avvicinava la mano alla pistola, sì perché per poco non  imboccavo dentro il pronto soccorso con tutta la macchina”.

Cosa è successo?

“E’ bastato dire: Sto male, male, male. Una frase pronunciata in una frazione di secondo è bastata a chiarire il tutto, tant’è che è stata proprio la guardia ha sollecitarmi ad entrare”.

Chi l’ha soccorsa?

“Il medico e i due infermieri in servizio. Sono loro che mi hanno accolto. Hanno capito subito la gravità e si sono prodigati all’istante in una corsa contro il tempo, perché di tempo già ne era passato un pò”.

In che condizioni è arrivato al Pronto soccorso?

“Tanto per far capire la gravità la gola si stava chiudendo e la pressione era precipitata a 40. Ho corso il rischio di collassare. Morale della favola, con l’aiuto di cortisone e adrenalina  e una professionalità e rapidità impeccabile, sono stato salvato”.

Cosa si sente di dire a queste persone?

“Grazie. È’ il minimo. La mia riconoscenza verso queste tre persone è infinita. Ringrazio di cuore il dottor Alfani, l’infermiera Deborah e l’infermiere Gianpaolo sono loro i tre angeli che mi hanno salvato la vita e volevo ringraziarli. È il minimo che possa fare”.

Termina con un grande grazie rivolto a medici e infermieri la storia del signor Claudio, ma ne potremmo raccontare tante altre a comprova che per il nostro territorio il posto di primo intervento è da anni un vero e proprio punto di riferimento per i cittadini visto anche il fatto che le strutture sanitarie più vicine spesso hanno visto e vedono tutt’ora migrare i cittadini tra i nosocomi di Civitavecchia, Bracciano e Roma. Tratte non proprio vicine che spesso si riducono per i soccorritori o gli accompagnatori dei pazienti in vere e proprie corse contro il tempo. Invece di inseguire modelli di sanità d’oltre mare non si potrebbe implementare e migliorare un servizio che, nonostante sia stato ridotto ai minimi termini riesce a funzionare nel suo piccolo? Perché ci si affanna a cercare soluzioni megalomani che in Italia fanno acqua da tutte le parti come le case della salute, e non si pensa a ridimensionare certe scelte in base al buon senso e per il bene dei cittadini? È vero, il pronto soccorso per molti non è niente, solo un peso, ma per qualcuno può essere tutto e fare la differenza tra vita e morte; e il signor Claudio ne è la conferma.