GIUSEPPE AMATO É IL MIGLIOR PASTICCERE DEL MONDO

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INSIGNITO A PARIGI IL 40ENNE MESSINESE CHE VIVE A CERVETERI. TITOLO PER LA PRIMA VOLTA ASSEGNATO A UN PASTRY CHEF.

Tutto ebbe inizio nel piccolo comune di Gaggi, in provincia di Messina… Ingredienti, sapori, consistenze e profumi hanno stregato il giovane Giuseppe Amato, consacrato dall’Associazione Les Grandes Tables du Monde, che raduna 180 ristoranti in 26 Paesi, come migliore pasticcere da ristorazione del mondo. Nato a Taormina, nel 1981, Amato, da anni residente a Cerveteri è in assoluto il primo pasticciere italiano a ricevere questa onorificenza.

giuseppe AmatoPartiamo dal suo nuovo ruolo, sei il “Migliore Pasticcere al Mondo 2021”, come ti senti?
Sto continuando a fare quello che facevo prima, ma con un diverso peso sulle spalle. Una carica, mi rendo conto, che devo mantenere. E poi quando cammino le persone mi riconoscono.

Come si diventa il numero uno?
Lavorando sodo, senza mai perdere di vista l’obiettivo. La pasticceria richiede precisione e costanza. Non tralasciando poi che lavoro da 17 anni a La Pergola di Roma. L’impegno costante è su più fronti, sulla formazione e sul prodotto finito, sia nel mio ruolo di docente che a livello lavorativo. Nulla è lasciato al caso quando presenti un prodotto impeccabile. Questa cura mi ha premiato.

Come si è manifestata la passione per la pasticceria?
Avevo 9 anni quando feci ingresso nel mondo della ristorazione, per me era un divertimento. Con la bicicletta andavo nell’unico ristorante del paese dove vivevo. Il proprietario era il papà di un mio compagno di scuola, si passava il tempo nel locale. Vidi Franco fare il gelato e mi innamorai del gelato, era alla fragola. Da lì ho iniziato il percorso di formazione, mi iscrissi all’alberghiero dove ho sperimentato gelateria e pasticceria. Anche se per un siciliano abbandonare la sua terra è difficilissimo, mi resi conto che la Sicilia non offriva molto in questo settore. L’opportunità è arrivata con la maggiore età, dopo anni di esperienze sono arrivato a Ladispoli, alla Posta Vecchia, dove ho conosciuto Manuela, la donna che da allora è mia moglie.

Attualmente lavori insieme allo chef stellato Heinz Beck
Sentivo parlare del ristorante La Pergola e da buon siciliano mi sono presentato senza appuntamento da Heinz Beck. Mi diede la possibilità di un colloquio. Da lì è iniziato un matrimonio che dura da oltre 17 anni. Avevo solo 22 anni.

Quanta Sicilia troviamo nei tuoi dolci?
La Sicilia c’è in tutti i dolci, in percentuale variabile ovviamente, ma un profumo che riporta alla mia terra è sempre presente. Che sia la mandorla, il mandarino o l’arancia.

Il tuo ingrediente preferito?
Il cioccolato.

Il dolce più richiesto?
La Sfera Ghiacciata. Un dolce che non riusciamo a togliere dalla carta, ormai rappresenta La Pergola in ogni parte del mondo, attualmente di melograno, di solito è ai frutti di bosco. Un dolce icona!

Posso chiederti di descrivere la Sfera?
Una base di cremoso, o gianduia o tè al bergamotto sulla quale viene adagiata una sfera ghiacciata, ottenuta lavorando l’ingrediente trattato con dell’azoto liquido e l’ausilio di un palloncino. Riusciamo a creare una sfera sottile vuota, il cliente non sapendo cosa c’è dentro, la rompe e la va a degustare con il resto nel piatto.

Quanto tempo impieghi per realizzare la composizione?
A La Pergola il cliente non può aspettare. Non si può dedicare troppo tempo alla decorazione, che avviene al momento di servire il piatto. Da noi la velocità del servizio è una priorità. Dalle 21 alle 22 ti dedichi alla mise en place, poi in un ora devono uscire 60 dolci. Non è solo il dolce che ruba tempo, c’è il pre-dessert e la piccola pasticceria. Il segreto è disporre di un gruppo forte che sappia lavorare in sinergia. Il cliente non aspetta, perché l’attesa è un complaint.

Quanto stressa mantenere un tale ritmo?
La parte più stressante di un ristorante ‘fandain’ è proprio il servizio, perché hai sempre timore che possa succedere qualcosa, hai dall’altra parte un cliente esigente. Devi stupirlo e non deluderlo. Una grande responsabilità. Io sono membro del direttivo dell’Ampi, Accademia Maestri Pasticceri Italiani. Ho la responsabilità dei pastry chef di tutta Italia, ho stilato un insieme di regole da rispettare per inserirsi nell’accademia. La principale è che quando vado ad esaminare il ragazzo devo stare con lui durante il servizio per vedere se riesce ad essere costante dalla prima all’ultima comanda. Questo vale anzitutto per me.

Il riconoscimento non è un caso ma frutto di grande impegno, a quale prezzo?
Sacrifico tutto. Non ho vita sociale, vedo poco la famiglia.

Foto di famiglia – Giuseppe, la moglie Manuela, i figli Ginevra e Salvatore

Per la famiglia starti accanto è una prova impegnativa.
Se non avessi avuto la famiglia compatta che crede in me, non sarei mai riuscito a raggiungere tanti traguardi. Il pensiero per loro c’è, però sono tranquillo grazie a Manuela. Con un’altra persona accanto non sarei riuscito. Sono arrivato ieri sera da Palermo, ora sono qui, più tardi a Roma al Gambero Rosso per una premiazione. Domani a scuola, domenica riparto. Un sacrificio per tutti.

Ti sei domandato se ne vale la pena?
Qualche volta, questi riconoscimenti però mi ricaricano. La soddisfazione è tanta. Novembre mi sta portando fortuna, nel 2020 ho presentato il mio libro “La Pasticceria della ristorazione contemporanea”, è l’unico libro al mondo che parla della storia della pasticceria oltre alle tante ricette.

Riveli anche qualche segreto a chi si vuole cimentarsi nell’arte?
Io non ho segreti! Non nascondo il mio sapere, ‘con me non mi porterò nulla’.Non sono geloso delle mie ricette in quanto è l’esecutore a fare il risultato.

É possibile coniugare dolcezza e salute?
É possibile farlo in quanto il dolce va gustato in un determinato modo. Non abuso di dolcezza. Anche un diabetico può mangiare un dolce se preparato con equilibrio e se la porzione è giusta. Tutti possono godere di una bontà.

Il dessert ha conquistato il suo posto a tavola!
Il premio lo dimostra. Ci siamo impegnati molto affinché la figura del pasticcere da ristorazione venisse riconosciuta. Una volta il cuoco faceva anche il dessert. Abbiamo creato un gruppo Pastry 121 evidenziando la nuova figura professionale creatasi nel ristorante, è stato un processo lungo. Oggi finalmente la figura è fortemente riconosciuta. Il dolce chiude, dunque se sbagli il dolce hai sbagliato la cena. Una responsabilità incredibile.

Determinante il rapporto tra lo chef e il pasticcere, un facile equilibrio?
Bisogna dialogare, tra persone intelligenti si riesce ad instaurare un rapporto di fiducia e rispetto reciproco.

Lavori con Heinz Beck
Esige tanto ma se riesci a dargli quello di cui lui ha bisogno lavori tranquillamente. Dopo 17 anni credo di averlo fatto e continuerò a farlo. La mia seconda famiglia, se non la prima, viste le ore trascorse insieme durante la giornata. Non esiste al mondo un altro pasticcere che ha resistito 17 anni in un ristorante 3 stelle Michelin.

Sei docente e direttore di 2 scuole di pasticceria, una a Palermo, l’altra a Roma, di quante ore è composta la tua giornata?
Dedico al lavoro circa 22 ore al giorno.

A casa ti devono inseguire per gustare un dolce?
Manuela non è golosa, i miei figli adorano la crostata al cioccolato.

A proposito di figli, consiglieresti loro un ritmo come il tuo?
Dico sempre chi ha tempo non aspetti tempo. Se vorranno cimentarsi, avranno il mio sostegno. La pasticceria è manualità, creatività e sacrificio!

La Bomba diventa ciambella – Foto di Giancarlo Bonomi

Qual è il dolce che ti ha dato più soddisfazione?
Si chiama la bomba diventa ciambella e racchiude in cerchio i miei figli: Salvatore amava la bomba con la nutella e Ginevra chiedeva la ciambella. Dalla tradizione nasce un piatto fandain: ho realizzato un croccante di nocciole e riso soffiato e fatto una polvere di bomba fritta che spolvero sul piatto realizzando una ciambella con un apposito stampo. La ciambella è Ginevra ma la bomba fritta è per Salvatore. Il cerchio, che sono io, si arricchisce con del sorbetto al lampone e del gelato al gianduia. Un piatto molto colorato, da effetto.

di Barbara Pignataro