di Giovanni Zucconi
Era il 29 maggio 1453.
I Turchi Ottomani guidati da Mehmet II (Maometto II) entrarono in Costantinopoli decretando la fine definitiva del millenario Impero Romano. La conquista della città non fu un’impresa facile, anche se le forze messe in campo dai Mussulmani erano almeno 20 volte maggiori di quelle dei difensori cristiani. Costantinopoli era protetta da una straordinaria cinta di mura difensive, fatte costruire da Teodosio II nel 430 d.C., che per secoli resero impenetrabile la città ai numerosi assedianti. Ma questa volta il sultano aveva un’arma segreta. Un cannone gigantesco, capace di sbriciolare con i suoi colpi le poderose mura di Costantinopoli. Il progettista e costruttore di questa arma possente fu un Ungherese di origine tedesca, di nome Urban. Il celebre fonditore di cannoni della Transilvania, aveva offerto i suoi servigi all’imperatore di Bisanzio, ma le casse di Costantinopoli erano ormai vuote, e non fu possibile commissionargli le sue costose meraviglie. Così lo spregiudicato Ungherese passò ai Turchi, e fuse per loro il cannone più grande del mondo, arma che si rivelò determinante nell’assedio. Il sultano Mehmet II fu il primo generale della storia a capire che i risultati delle battaglie, ma soprattutto degli assedi, non sarebbero più stati determinati dall’uso della cavalleria o della fanteria, ma da quello dell’artiglieria pesante. Questa sua intuizione si rivelò vincente nell’assedio di Costantinopoli del 1453. Altri ci avevano già provato a conquistare la città, come Murad II, il padre di Maometto II, ma sempre senza successo. Il diplomatico bizantino Laonikos Chalkokondyles aveva parlato dell’attacco di Murad II contro Costantinopoli: “Con i pezzi di artiglieria cercò di abbattere le mura, senza però riuscire a far breccia. Le palle pesavano soltanto tre mezzi talenti (circa 54 chilogrammi)”. Questo errore non fu ripetuto dal figlio. Mehmet II ordinò ad Urban di costruire il più gigantesco cannone che si fosse mai visto sulla terra. E l’ingegnere ungherese lo accontentò. Il risultato fu impressionante. Nelle fonderie della capitale turca di Edirne (Adrianopoli) fu realizzato un mostro di quasi 48 tonnellate, con una canna lunga 3,5 metri e con un calibro di 90 cm. Questo cannone scagliava, a quasi due chilometri di distanza, pietre di basalto del diametro di 81 cm, circa 2,5 metri di circonferenza, e del peso di ben 6 quintali. Un’arma di una potenza straordinaria per quei tempi. Era almeno 12 volte più potente di quelle utilizzate da suo padre nel precedente assedio di Costantinopoli. Trasportarlo sul campo di battaglia fu un impresa logistica gigantesca. Occorreranno ben due mesi, 60 buoi e 200 uomini per trasportare il cannone. Era inoltre preceduto da un corpo speciale di oltre 200 genieri e pontieri, che avevano il compito di preparare e riparare le strade e i ponti per il passaggio dell’artiglieria fin sotto le mura di Costantinopoli. Fu piazzato, tra lo sgomento degli assediati, davanti alla porta di San Romano, l’11 aprile 1453. Accanto al cannone di Urban, i Turchi collocarono altre due bocche da fuoco che, con i loro tiri, avrebbero aiutato ad aggiustare la traiettoria della grossa bombarda. Come potete immaginare, anche caricarlo non era per niente semplice. Tra un colpo e l’altro passavano circa due ore. In tutto sparava solo sette colpi al giorno. Vi possono sembrare pochi, ma ogni colpo era una mazzata che sbriciolava le pietre calcaree delle mura, aprendo larghe falle nella cinta muraria, che dovevano essere immediatamente riparate. Il bombardamento durò incessante fino all’una e mezza del mattino del martedì 29 maggio 1453, quando fu dato l’ordine dell’attacco finale. A mezzogiorno, i Turchi riescono ad ottenere il controllo totale della città di Costantinopoli. Il possente rombo del cannone di Urban aveva piegato per sempre quello che rimaneva del glorioso e millenario Impero Romano. Un’epoca si era definitivamente chiusa.