E’ il signore del palcoscenico, l’interprete principe del grande teatro, uno dei pochi artisti a far registrare ancora il tutto esauritodi Giovanni Zucconi
Ci sono nomi di attori che, al solo pronunciarli, evocano il grande Teatro. Come in tutte le discipline, anche sul palcoscenico troviamo bravi artisti e, raramente, dei talenti assoluti. Sono quelli che segnano il vertice assoluto della rappresentazione di ogni testo che portano in scena. Un mix ineguagliabile di personalità e di tecnica che ti affascina, e che rapisce la tua attenzione, i tuoi sensi e la tua mente. Non sono naturalmente molti gli attori o attrici così. Gabriele Lavia è indubbiamente uno di loro. Ogni suo evento è memorabile. Abbiamo avuto la fortuna di assistere, recentemente, a due sue rappresentazioni al Teatro Vascello di Roma. Due opere diversissime tra loro. Una “dicitura” di testi leopardiani e “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, rappresentate, una dietro l’atra, in due giorni consecutivi. Stessa scenografia: una sedia al centro del palcoscenico e stesso abbigliamento informale. La differenza la metteva Lavia, con la sua arte e il suo talento. Anche in questo si può vedere la grandezza di un attore. E’ riuscito, senza il minimo orpello, a creare due magie diverse per ognuno degli spettacoli. Magie con le quali ha stregato il pubblico presente in teatro. Che alla fine gli ha tributato, tutto in piedi, un irrituale, lunghissimo, applauso. Al termine di uno dei suoi spettacoli, ha concesso a noi de L’Ortica l’onore, non scontato, di una lunga e intensa intervista.
Maestro, partirei dall’osservazione che se uno volesse andare a vedere uno spettacolo di Gabriele Lavia, deve prenotare sempre con un certo anticipo. Altrimenti non trova posto. Questo contrasta con l’evidenza della crisi del Teatro. Non è che questa crisi dipende anche dal fatto che non c’è sempre un’offerta all’altezza, e se ci fossero tanti Gabriele Lavia, forse questa crisi non ci sarebbe?
“Non lo so questo, francamente. Siccome fortunatamente lavoro, non ho molte possibilità di andare a teatro a vedere gli altri. Lo dice lei che gli spettacoli degli altri hanno meno spettatori. Questo io non lo so. Io cerco di fare il mio lavoro meglio che posso. E ormai da tanti anni. Magari il pubblico si è abituato a sentire il mio nome.”
Fa il modesto?
“Io non sono modesto. E’ che ho sempre tanta paura di sbagliare.”
Capisco la sua risposta diplomatica. Magari possiamo parlare più liberamente di un problema sicuramente collegato, e altrettanto significativo. Sempre meno giovani vanno a Teatro. Non è che gli stiamo proponendo qualcosa che non parla il loro linguaggio?
“Guardi. Non è Omero che deve andare incontro all’oggi. E’ l’oggi che deve andare incontro ad Omero. Perché Omero c’è. Shakespeare c’è. Indipendentemente dal fatto che un giovane se ne occupi o non se ne occupi. Il problema sta in un errore di fondo che si è manifestato nella cultura occidentale. Quello di ritenere il passato come qualcosa di passato, e il futuro qualcosa da guardare. Ma è profondamente sbagliato. L’unica possibilità che noi abbiamo per guardarci dentro, è quella di guardare al passato. Magari per farci sorprendere da un certo futuro. I ragazzi che oggi guardano solo lo schermo del telefonino, sono destinati ad essere schiavi di qualcuno che non lo fa. Confrontarsi con il “passato” vuole dire aumentare la propria cultura. Ed è fatale, è destino, che chi ha una cultura più grande e più importante, dominerà quelli che non ce l’hanno.”
La scelta dei testi da interpretare è sicuramente uno dei momenti più importanti nella carriera di un attore. Lei come procede?
“Gli lo spiego. E non fallisco quasi mai. Vado nel mio studio, chiudo gli occhi e faccio tre o quattro giri su me stesso. Poi punto il dito davanti. Più in alto, più in basso. A seconda… E mi avvicino alla libreria là dove indica il dito. Li devo scegliere. E non sbaglio quasi mai.”
E’ un modo originale per scegliere un testo da interpretare. Sembra quasi che sia lui a scegliere lei.
“Lei ha capito perfettamente il concetto. Noi non dobbiamo scegliere, siamo sempre scelti. E se siamo scelti, allora c’è speranza di fare bene. Bisognerebbe sempre fare così. Bisognerebbe stare attenti ai mille indizi che la vita ci propone e ci offre. Se seguissimo la vita, invece che i nostri ragionamenti, le cose andrebbero un po’ meglio.”
C’è un testo che lo spaventa? Un testo che non porterebbe mai in scena per un qualsiasi motivo?
“Mi hanno chieste varie volte di fare la Tempesta di Shakespeare. Però ho visto quella di Strehler. E no, non me la sentirei di portarla in scena. Ho ancora quella rappresentazione negli occhi. Non si può… Almeno finché ci sono occhi che hanno visto quella, io non posso farne un altra. Ci sono alcuni registi che ci hanno provato. Ma io ho visto gli spettacoli di Giorgio Strehler. Era meglio se non li avessi visti. Come li ha fatti lui, tantissimo tempo fa, io non posso nemmeno sognare di farli. Quindi è meglio lasciarli stare.”
E’ molto bello quello che sta dicendo.
“A volte si parla del Teatro povero. Si dice che Strehler ha fatto un teatro ricco, e che ha avuto tutto quello di cui aveva bisogno. Il mare sembrava un mare vero. Era la spettacolarità dello spettacolo in senso superlativo. E in più c’era tutta la profondità di una lettura. Altri registi negano completamente la spettacolarità, per curare solo la profondità della lettura. Ma purtroppo per loro “Theatron” significa “Luogo dello Sguardo”. E affinché ci sia lo sguardo, è necessario anche che ci sia anche una fisicità. Lo “Sguardo” è anche quello che si vede, non è soltanto quello che si sente, anche se molto curato. Almeno questo è il mio punto di vista.”
Si recita al suo livello anche per diventare immortali?
“Il Teatro non è un arte immortale. Il teatro è un arte mortale. L’immortalità è possibile per un pittore, uno scrittore o uno scultore. Per le arti che hanno bisogno di un appoggio che dura nel tempo. La scrittura ha bisogno della pagina, la pittura della tela e la scultura del marmo. Sono appoggi duraturi. Invece l’attore si appoggia sul proprio corpo. E quando muore il corpo, tutto finisce.”
Io ho sempre pensato che essere attore non si possa scegliere come professione. Attore credo che ci si nasca. Lo sei da sempre. E’ d’accordo?
“E’ vero. Si nasce attori, e non lo si può diventare. Le scuole, se ci sono insegnati di grandissimo talento, ti possono insegnare solo qualche piccolo trucco. Se invece gli insegnati non hanno talento, ti insegnano solo quello che poi ti devi dimenticare. Ti insegnano solo i difetti. Nessuno ti può insegnare ad essere attore. Il Teatro è un discorso altissimo, e non si può ridurre a “fai così o cosà”.
Si inizia, e poi si cresce. Io sono rimasto particolarmente colpito dal fatto che lei abbia 76 anni. Come cambia l’essere attore con l’avanzare dell’età? E solo una questione di scelta di nuovi ruoli, di nuovi testi o c’è qualcos’altro
“No. Purtroppo invecchiando i ruoli che puoi interpretare diminuiscono sempre. Quando uno è giovane ha tanti ruoli davanti. Ma non è capace a farli, o meglio non ha la tecnica per farli. Non ha l’esperienza. Non è stato migliaia, migliaia e migliaia di ore sul palcoscenico. Ma adesso non posso più fare Amleto, non posso fare più Edipo, o Macbeth. Non posso più fare Romeo.”
Ma si diventa più bravi
“Non è detto. Ma si conosce sicuramente qualche trucco in più. Bravi bisogna esserli già dall’inizio. Dopo non puoi più diventarlo.”
Perché i grandi attori come lei non lasciano mai il palcoscenico? Recitano sempre fino all’ultimo
“Io non ho soldi. Se non lavoro, non so come pagare l’affitto. Io ho avuto una compagnia. Ho fatto spettacoli grandi, con numerosi attori. Quindi non sono ricco. Chi fa il teatro e diventa ricco, vuole dire che ha fatto solo piccoli spettacoli. Chi ha fatto grandi spettacoli non può essere ricco. Può essere solo povero.”
Io non immaginavo questo. Io pensavo che a un certo livello l’indipendenza economica non fosse in discussione
“In passato giravo con tre TIR. Ho fatto spettacoli anche con 15 attori. Il Teatro costa perché muove esseri umani. Quando giri con 7 tecnici e 15 attori vuole dire che hai fatto il Teatro vero. Fare Teatro vero è come salire sul ring contro un campione. E’ molto facile prendere le botte e finire KO. Un conto è salire sul ring con Amleto. Un altro è salire sul ring con una robetta.”
A che cosa ha dovuto rinunciare della sua vita privata per diventare Gabriele Lavia?
“Non lo so. La mia vita privata è stata questa. La mia vita è stata il teatro. E basta. Era tutto quello che desideravo, e non ho rinunciato quindi a nulla.”
E’ riuscito a fare tutti gli spettacoli che avrebbe voluto portare in scena?
“No. Qualche spettacolo non me lo fanno fare perché costa troppo. Quando avevo la compagnia mia lo facevo lo stesso, anche se poi ci rimettevo tantissimi soldi. Quando propongo qualcosa con più attori mi dicono che bisogna tagliare. Adesso, quando si vuole risparmiare in teatro, si tagliano sempre gli attori. Non ho mai sentito dire: “…per risparmiare e fare lo spettacolo, togliamo 4 uffici. Ormai il teatro si fa solo per gli uffici. Non lo si fa più per il Teatro. Per questo è destinato a finire, almeno come struttura pubblica. Continuerà solo grazie a dei malati di mente che se lo fanno da soli. I ragazzi dovrebbero saperlo. C’è una burocrazia che schiaccia, soffoca e uccide il palcoscenico. Che è l’unico luogo dove in teoria si dovrebbe fare il Teatro. Si riuniscono tanto per il Teatro. Si riuniscono tutti i Direttori dei teatri. Ma sono tutti amministratori. Come fa un amministratore, anche se illuminato a parlare di Teatro? Non sa nemmeno da che parte sta. Il Teatro devi averlo in bocca, dentro le orecchie, negli occhi, nelle vene, nelle unghie, per sapere che cosa sia. E innanzitutto per sapere che cosa si fa sul palcoscenico. Con quelle strane figure, un po’ cretine, che si chiamano attori.”
Ho visto recentemente sua figlia Lucia, protagonista in una splendida Madame Bovary. Cosa pensa di lei?
“Mia figlia è un talento assoluto. Io non c’entro nulla. Non le ho insegnato nulla. Mia figlia è un talento puro. Mia figlia è un sogno, Mia figlia un miracolo d’arte. Fin dalla prima cosa che ha fatto con me, aveva un talento che non ho mai veduto in nessun’altra. Non ho mai visto un’attrice giovane con un talento assoluto come quello di mia figlia. Mi auguro che non lo perda, e che lo coltivi con il passare degli anni.”
Salto quindi la domanda se ha preso più da lei o da sua madre
“Nooo. Né da me, né dalla madre. Per carità. Lei è oltre.”