FOTOGRAFIE DI UN PASSEGGIATORE SOLITARIO

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«SE SEI NATO A CERVETERI, TE NE SEI INNAMORATO E VORRESTI CHE TUTTI GLI ALTRI SE NE INNAMORASSERO. VORRESTI LA AMASSERO IN QUEL MODO SELVATICO E ANARCHICO DEGLI AMORI GIOVANI»

di Angelo Alfani

Le due foto che accompagnano questo scritto sono state scattate negli anni sessanta dal maestro Copponi, solitario passeggiatore postcaffè su strade e viottoli trafficati, in secoli eroici, dagli Agyllini. Strade che portavano ai monti, quelle battute dal Maestro, che si lasciavano alle spalle il paese, le ultime case, le ultime coltivazioni.

fotografieNon c’erano mappe, segnaletiche e il percorso era scomodo, poco frequentato, ma proprio per questo «infinitamente interessante ed ambito dai contemplatori solitari, cui piaccia inebriarsi a volontà delle bellezze della natura e raccogliersi in un silenzio perfetto, turbato solo dal grido» di falchetti, o dal fischio di merli che sbucano, improvvisi, da frattoni di rovi e rose canine, o dal mormorio dello scorrere del ruscello che “scarrocciando”, allargandosi tra sassi e tufo, scende, a tratti precipita, incanalandosi nella forra che separa la città dei vivi e quella dei morti.Greggi e guardiani degli oliveti, che si estendevano fin sotto i colli per dare poi spazio al bosco, erano presenze sfuggenti e silenziose.Più facile incrociare gruppetti di ragazzini ancora “liberi e selvatici”. Maschietti nati negli anni cinquanta gli ultimi a cui è stata concessa in sorte la maledetta fortuna di uscire dal portone di casa e trovarsi immersi nella natura. Soli, senza occhi indiscreti e sguardi indagatori, senza domande a cui sarebbe stato imbarazzante non rispondere se non impappinandosi, arrossendo come pesche mature.
Gruppi che si formavano all’uscita dalla scuola, si riaggregavano per vicinanza, per quartiere, per fidanzamenti di sorelle e fratelli adulti. Ragazzini che si sfiancavano per interminabili pomeriggi nei prati, tra ulivi centenari, negli anfratti tra spezzoni di tufo precipitati che lasciavano scoperti ingressi di tombe, a scambiarsi ruoli, a scontrarsi fino a farsi male.Ferite sanguinanti lasciavano segni destinati ad essere dimenticati nella ripresa del gioco, nel mimare le tante “guerre” di cui la eco era ancora companatico nei racconti dei padri e dei nonni, o da poco terminate è subito riprese nel lontano Oriente. Guerre viste al cinema, supereroi a difesa di civiltà antiche da nemici barbari e crudeli.La foto con i tre cervetrani ripresi dal basso, statuari sopra lo stretto passaggio non scivolato dal costone, tra due ingressi di tombe, spada di legno sguainata, sembrano difensori estremi di un mondo che di lì a poco sarebbe scomparso. Ne sembrano consapevoli al punto da scegliere un luogo difendibile ma senza scampo, senza via di uscita. O la porta immette nel Paradiso cervetrano, riservato a loro e solo a loro?

Di nuovo trascrivo poche righe del reggino Saverio Sciao Pazzano dedicate alla Calabria, perfette nell’esprimere sentimenti che mi accomunano.«Se sei nato a Cerveteri, te ne sei innamorato. E non vorresti mai averlo fatto; e vorresti che tutti gli altri se ne innamorassero. Vorresti la amassero in quel modo selvatico e anarchico degli amori giovani, col suo temperamento che non accetta briglia, con l’aria da abbandono e il fascino da perdente che accende il desiderio. Vorresti la conoscessero per come tu la conosci. Ma non sai dirlo…» O forse sai che non possono capire!