Dopo la netta contrarietà espressa in una nota congiunta da Italia Nostra Litorale Romano e Wwf riguardo ogni ipotesi di realizzazione di scali dedicati alle navi da crociera a Fiumicino L’Ortica del Venerdì settimanale riporta la dichiarazione di Francesco Spada, rappresentante di Italia Nostra-Litorale Romano, già Professore di Materie Botaniche ed Ecologia Vegetale 1978-2016 presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’ Università “La Sapienza” in Roma, Ex-Presidente della Sezione Laziale della Società Botanica Italiana 2011-2020, dal 2017 ad oggi Studioso Ospite presso Dept. of Plant Ecology and Genetics, Università di Uppsala (Svezia).
E’ con stupore, incredulità e indignazione che si prende atto della progettazione delle opere in oggetto.
Tali opere, se realizzate, rappresenterebbero ad oggi, la più disastrosa e irresponsabile minaccia alla residua integrità ambientale del litorale laziale, proprio in un’epoca storica che ambisce o è costretta a raggiungere obiettivi di sostenibilità.
Il litorale medio-tirrenico in corrispondenza del distretti del delta del Tevere è, infatti, sistema geo-morfologico di costa bassa di ben nota e scientificamente documentata, elevatissima vulnerabilità.
Il naturale smistamento dei sedimenti fluviali in base all’ andamento della morfologia costiera, operato dalle forti correnti del sotto-costa, ha subito modificazioni drammatiche proprio a causa delle edificazioni di moli turistici lungo tutto il litorale effettuate negli ultimi decenni.
I moli progettati si sono convertiti in trappole sedimentarie che hanno alterato la distribuzione naturale lungo costa degli apporti fluviali, causa prima dei gravi e localizzati fenomeni erosivi e di retrazione in atto a carico delle coste basse, come nel caso del litorale a Nord e a Sud del delta del Tevere. Analogo effetto hanno prodotto i sistemi di pennelli frangiflutto costruiti per arginare il fenomeno erosivo per non perdere superficie a disposizione della balneazione turistica, il tutto causando aggravata erosione differenziale nei settori costieri ove l’apporto di sedimenti sia stato precluso dalle opere di ampliamento portuale realizzate altrove.
Decenni di accelerante erosione costiera, hanno già intaccato in modo preoccupante ecosistemi e paesaggi di tutta la fascia litoranea della bassa costa laziale, dalla Tuscia romana alla Pianura pontina. La conseguente trasgressione verso l’entroterra del cosiddetto “cuneo salino”, che si sostituisce alla falda d’acqua dolce della costa retrostante, ha già provocato, infatti, negli ultimi 30 anni, il collasso di cospicui settori a mare di foresta costiera residuale di costa bassa (dal territorio Anziate, a Castelporziano, a Ladispoli, Cerveteri, Tarquinia).
Questi fenomeni, pur calibrati sulle attuali tendenze dei naturali cicli di fluttuazione dei litorali nel corso dei tempi, riconducono inequivocabilmente, la preponderante responsabilità delle loro cause, al degrado indotto dall’ impatto delle opere di urbanizzazione e diffusione capillare di infrastrutture a carico del litorale realizzate nei decenni recenti.
Il ripascimento artificiale del litorale, cui si fa normalmente ricorso in questi casi e cui si farà ampiamente ricorso nel caso in cui le opere previste venissero portate a compimento per tamponare il fenomeno erosivo ingenerato dalle nuove costruzioni portuali per le grandi navi da crociera, ingenera ulteriore deterioramento dei delicati equilibri della morfologia costiera. Le voragini da scavo e prelievo del materiale sedimentario a largo determinano, infatti, fosse e vortici che col trascorrere del tempo risucchiano la sabbia stessa lontano dalla costa. Va aggiunto inoltre che il materiale prelevato al largo è costituito spesso da fanghiglia inadatta ai fondali sotto-costa, determinando con il suo accumulo artificiale, la distruzione delle praterie sommerse di Posidonia e il conseguente annientamento dell’ecosistema marino e della fauna ittica locale.
A ciò si aggiunga che, per quanto riguarda le grandi navi, nulla delle loro scorte di cambusa è acquisito in loco, poiché, per la natura stessa di una tal intrapresa turistica, ai rifornimenti si provvede altrove.
Nemmeno gli allacci alla rete elettrica attingono alla terraferma, poiché più economico per l’intrapresa commerciale stessa, è il mantener attivi i generatori di bordo. Il frastuono subacqueo che ne deriva è documentatamente drammatico, come ogni Capitaneria di Porto ben conosce, e si ripercuote a distanza fin a raggiungere le costruzioni sui litorali adiacenti. Se poi si aggiunge al computo dell’inquinamento acustico sottomarino l’effetto dei fumi di scarico di queste operazioni, è difficile immaginar una forma di annientamento più radicale del sistema ambientale litoraneo, con effetti devastanti sul patrimonio ittico.
Su queste basi di documentato supporto scientifico, le opere previste non possono pertanto che prospettare uno spaventoso aggravio dei danni già arrecati alla stabilità del litorale tiberino con ripercussioni sempre più estese a settori distali della costa medio-tirrenica, contro ogni sensata progettualità e presunzione di responsabilità politica. Non va dimenticato, inoltre, l’indotto determinato sull’immediato entroterra dalla conseguente necessità di dilatazione della viabilità esistente, ai danni del residuo paesaggio rurale della Campagna Romana.
Desta pertanto legittima preoccupazione scientifica e morale, questa manifestazione di irresponsabilità imprenditoriale e programmatica da parte degli attori coinvolti nella ideazione di progetti.
Diviene allor drammaticamente risibile la discussione sulle emissioni e sulla volontà politica di ridurne l’effetto distruttivo sui cicli di circolazione dell’atmosfera, ormai solidamente e inconfutabilmente constatato dalla scienza. Le opere di ampliamento portuale previste amplificherebbero in termini incalcolabili le fonti e occasioni stesse di emissione, di fronte alle quali, espedienti tecnici di una iconicamente allettante sostenibilità appaiono come pure manifestazioni di irresponsabile, mortificante, ingannevole populismo intellettuale.
Se la classe politica non sa arginare queste sollecitazioni che le provengono da parte delle consorterie imprenditoriali e finanziarie, deve allora riconoscere di fronte alla cittadinanza di non voler assolutamente dar ascolto agli appelli circostanziati proposti e riproposti dal mondo scientifico internazionale, con crescente dettaglio di approfondimento tecnico da decenni, sulla assoluta e irrinunciabile necessità di arrestare l’ulteriore trasformazione dei residui ecosistemi naturali costieri ancora funzionali.
Dovrebbe pertanto riconoscere di considerare meri esercizi linguistici le dichiarazioni e decisioni programmatiche formulate nell’ambito di pannelli e convenzioni internazionali sulla riduzione delle emissioni e sul cronoprogramma, sfrontatamente e irrealisticamente sbandierato, di dimezzamenti entro archi di tempo buffonescamente brevi delle emissioni stesse, mente nella fattispecie supporta più che mai un modello di sviluppo infrastrutturale che ne amplifica la potenza inquinante, in aperto contrasto con accordi internazionali vigenti.