La filosofia del non-filosofico
di Antonio Calicchio
Cosa legittima la filosofia ad interessarsi di temi non filosofici, soprattutto in una epoca, come la nostra, che è l’epoca della tecnica? Offrono una risposta due autori: Emanuele Severino e Ludwig Wittgenstein. Il primo, col volume Tecnica e Architettura, il secondo, con Lezioni di Psicologia filosofica.
Orbene, Severino pone in risalto che la concezione dell’architettura – e dell’arte, in genere – deriva dal senso che si conferisce alla esistenza: se si considera che esista una verità eterna, si progetta allora lo spazio ordinandolo ed organizzandolo, mediante la misura e l’armonia geometrica, affinché la configurazione architettonica – ed artistica – preveda, in anticipo, i movimenti. Se, viceversa, si ritiene che non esista verità, trova applicazione allora il principio secondo il quale la forma segue la funzione, lasciando liberi gli spazi. Gli esempi non mancano: ed infatti, Adolf Loss, nello slegare ogni elemento da un piano immutabile ed assoluto, progetta il dislivello fra le stanze, il non allineamento delle finestre; Le Corbusier concepisce la casa, contrariamente al Partenone, emblema di proporzione e di ordine, come macchina per abitare, che, ad avviso di Severino, “sostituisce, nel proprio interno, ogni parete statica, con diaframmi mobili, per consentire un uso libero dello spazio abitabile; e che, dunque, diviene simbolo dell’organizzazione tecnologica, che sostituisce le strutture rigide della esistenza, con articolazioni flessibili, per non impedire e soffocare il divenire, cioè la libertà della vita”. A tanto si aggiunga che “l’ultima sfida per l’architettura troverà luogo non più nella natura circostante, bensì nella progettazione del nostro corpo … come ‘macchina per abitare’ il nuovo ambiente digitale” (Taddio).
A questo punto, si ripropone l’interrogativo innanzi evidenziato: cosa legittima la filosofia ad occuparsi di argomenti non filosofici e, nel caso specifico, di architettura, in una prospettiva di artificializzazione del corpo umano? “La crisi della forma dipende dalla – ed è – crisi del pensiero. Ma credere nella forma vuol dire ancora credere nel pensiero. Dunque, l’architettura guarda alla filosofia in quanto alla filosofia appartiene il pensiero” (Rizzi).
Per quel che concerne la succitata opera di Wittgenstein, giova sottolineare, al riguardo, che essa comprende le lezioni che svolse, a Cambridge, nel suo ultimo anno di insegnamento, 1946-1947, e raccolte dagli appunti di P.T. Geach. Pure Wittgenstein si era domandato quale diritto potesse avere la filosofia di discutere di psicologia o di matematica; ed egli aveva risposto che “come filosofo gli era possibile occuparsi di matematica, perché si sarebbe occupato di certi rompicapi (puzzles) che nascono dalle parole del nostro comune linguaggio quotidiano quali dimostrazione, numero, serie, ordine”.
Alla radice dei linguaggi specifici della matematica, della psicologia, dell’architettura, della tecnoscienza si rinvengono significati comuni, correlati fra loro. E la filosofia costituisce la visione totale di tali correlazioni, che schiude quell’area all’interno della quale orbita ogni sapere e si mostra il senso della esistenza.
Qualunque dibattito, pubblico o privato, in ordine all’etica, al diritto, alla politica, alla economia, alla sanità, pur attenendo alle finalità dei singoli saperi, rinvia sempre, tuttavia, a quell’orizzonte più ampio, valendosi, talvolta, del prefisso “meta”: meta-politica, meta-economia, meta-etica. Meta è parola, di matrice greca, che si traduce con “oltre”, indicando che un dato sapere riconosce l’esigenza di oltrepassare le frontiere delle proprie competenze. Ed è proprio allora che si manifesta la filosofia, attraverso il suo retrocedere alle origini, per rivolgersi a quelle comuni categorie fondamentali che sono invisibili alla visione specialistica e che Platone definiva eidos (participio di orao, che vuol dire “vedere e sapere”), nell’apparente ossimoro di chiamare visibile quanto è invisibile ai più. Se è vero che in quell’invisibile risiede il fondamento dell’esistenza, risulta inevitabile allora che quando scende la bruma sul sapere specialistico, quando si annullano le certezze e si pongono le domande, è la filosofia – all’apparenza convitato di pietra – a levare la sua voce e a rivelare la sua luce.