FILOSOFIA OLTRE I CONFINI

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Sono stati ultimati, il giorno 8 agosto, i lavori del 25° Congresso Mondiale di Filosofia (WCP), di Roma, con circa seimila partecipanti, di oltre cento Paesi. Gli argomenti trattati, dalla società al digitale, dalla nascita alla morte, dalla giustizia alla democrazia, dall’ambiente alla bioetica,concernono tutti. Un evento ricco di vantaggi, non soltanto culturali.

ANTONIO CALICCHIO

Si è concluso, l’8 agosto scorso, il 25° Congresso Mondiale di Filosofia, che si è svolto, quest’anno, per la prima volta, a Roma, dal titolo Philosophy across Boundaries, presso l’Università “La Sapienza”, con una cerimonia di apertura, tenutasi nel grandioso scenario delle Terme di Caracalla, il 1° agosto, sulle note della Tosca, di Puccini.

L’Università “La Sapienza”, fondata, da Papa Bonifacio VIII, nel 1303, è allocata, come noto, nei monumentali ed imponenti palazzi, progettati da Marcello Piacentini, ed inaugurati, nel 1935, simbolo del razionalismo architettonico dell’epoca, per una “città del pensiero e una fortezza dello spirito”, nella cui Aula Magna, con una dimensione di quasi mille metri quadrati, si è snodata la più parte dei lavori congressuali, sempre popolati, al cospetto della maestosa opera pittorica di Mario Sironi, che sovrasta la tribuna absidata, raffigurante l’Italia fra le Arti e le Scienze, su cui campeggia il distico: Doctrinae studium vitam producit et auget / Immortalis eris si sapiasiuvenis”. Il tutto sotto l’attenzione austera e vigile della “Minerva”, massiccia statua bronzea al centro dell’agorà, di Arturo Martini, che personifica la dea Athena, ora, però, in fase di restauro.

Conversazioni filosofiche si sono collateralmente articolate anche “extra moenia”, vale a dire fuori dalle mura della Città Universitaria, per estendersi “sotto le stelle”, allo Stadio Palatino, in cui musica e parole hanno trovato un legame di profonda consonanza.

E’ stato ottenuto un risultato significativo e per il nostro Paese e per “La Sapienza, che, ancora una volta, si conferma luogo privilegiato, in cui custodire e sostentare l’elaborazione intellettuale ed il pensiero critico, a partire dalla tradizione classica, come attesta il primato conseguito nell’area umanistica, in cui si è collocata al primo posto, a livello planetario.

Dopo Bologna, nel 1911, Napoli, nel 1924, Venezia, nel 1958, è stata Roma ad ospitare – come detto – il Congresso, proiettando le forze culturali ed accademiche italiane entro il dibattito filosofico, e non esclusivamente, internazionale.

Il Congresso Mondiale di Filosofia è un congresso di filosofi e di studiosi, costituendo la primariacircostanza di incontro fra le comunità accademiche ed intellettuali del globo; esso viene organizzato, a cadenza quinquennale, in capitali diverse del mondo, allo scopo di rafforzare le relazioni professionali, di promuovere l’educazione filosofica e di fornire un contributo rispetto alle importanti questioni e alle ineluttabili sfide del proprio tempo. Il primo si ebbe a Parigi, nel 1900, e il penultimo a Pechino, nel 2018. Nel corso delle varie edizioni, vi hanno preso parte Bergson, Blondel, Poincaré, Bertrand Russell, Benedetto Croce, etc. Da quello del 1900, è stata la prima volta – come segnalato – che il Congresso è stato stabilito a Roma (la quarta volta, per il nostro Paese, caso unico fra tutte le nazioni), segno palese del riconoscimento, ad opera della collettivitàfilosofica internazionale, del peso dell’apporto che l’Italia ha dato e dà alla discussione filosofica globale. Alla base di siffatto impegno, si individua la consapevolezza di avviare un ragionamento pubblico in relazione al futuro delle società, comparando, al contempo, i recenti progressi delle ricerche, nei diversi settori del mondo.

Il Congresso ha rappresentato un formidabile volano di ripresa e di valorizzazione del patrimonio culturale, materiale ed immateriale, nonché di crescita economica. La sua capacità attrattiva ha offerto all’Italia la possibilità di consolidare la sua presenza accademica e scientifica internazionale, situandosi al centro di una disquisizione globale, nel quadro culturale, sociale ed economico del mondo contemporaneo.

In occasione del Congresso, molti intellettuali ed accademici, di ogni dove, si sono riuniti nella nostra capitale, nell’ottica di una riflessione comune e di una pubblica formulazione di proposte,relativamente al presente e al futuro delle nostre società. Esso ha consentito di aggregare l’insieme delle migliori e più raffinate menti, sul piano intellettuale, scientifico, accademico, cui si sono unite personalità della classe dirigente – intesa in senso sociologico del termine – cioè quella economica, giornalistica, imprenditoriale e istituzionale, in un complessivo processo di avvicinamento al servizio della esigenza di “ricostruzione intellettuale” delle nostre società. Per le giovani generazioni, è stato lo spunto per aprirsi ad altre idee, ad altri linguaggi, ad altre culture e ad altre sensibilità, con finalità certamente formativa ed istruttiva.

E così, dopo quello di Pechino, pure quest’anno, è stato ancora nel costruttivo confronto con pensatori asiatici, oltreché di altre parti della terra, che si sono indicati i principi essenziali e i criteri direttivi del più grande raduno filosofico della storia d’Italia.

Temi su cui discorrere non sono mancati, anche, e tanto più, per la cultura del nostro Paese. Si pensi alla vena politica, che connota il pensiero italiano, da Machiavelli a Croce e a Gramsci, a come possa ricavare ispirazione da tradizioni non occidentali, per apprendere meglio le ragioni della crisi dell’ordinamento democratico, in un mondo sempre meno a misura di nazione. Occorre osservare,senza pregiudiziali, l’evoluzione della cultura, sempre più integrata nei nuovi media, innervata di una estetica del glamour e marcata dai linguaggi pubblicitari; occorre soffermarsi in merito alle diverse modalità di affrontare il dolore, la nascita, la morte, nelle numerose civiltà del mondo; eoccorre avvicinare, nella sua complessità, la rivoluzione digitale, che ha già mutato, prima ancora dei nostri riferimenti dottrinali, le nostre forme di vita quotidiana.

Si pensi ai mezzi con cui i giovani si orientano, attraverso l’utilizzo – continuo – dello smartphone. Ed infatti, siamo entrati inconsciamente in una era di “comunità emo-tive”, in cui ci si prepara un destino neo-medievale di subalternità civile, di sudditanza politica e di asservimento economico?Le società occidentali se ne sono, a lungo, considerate immuni, ma, ora, qualcosa sta cambiando. E così, fermarsi a parlare insieme, per interrogarsi circa il destino sociale, economico, politico, tecnico e culturale del mondo contemporaneo risulta, oggi, quanto mai indispensabile.

Tuttavia, il Congresso è stato anche altro, ossia una eccezionale opportunità per l’editoria italiana, chiamata ad espletare un ruolo fondamentale nel nuovo Salone internazionale del libro filosofico. È stata una occasione di maturazione, per giovani studiosi, di tutte le parti d’Italia. Ed è stato un prodigioso moltiplicatore di collegamenti internazionali, con effetti nel lungo periodo. Giacché di questo si è trattato: studiosi, di ogni parte del pianeta, a migliaia, si sono recati a Roma non solamente per dissertare di filosofia, ma anche per confrontarsi pubblicamente in ordine allemodificazioni, in atto, nelle società odierne, ai modelli cui si vorrebbe che si conformassero e ai conflitti economici, politici o militari.

Ulteriore esito raggiunto è consistito nella ostensione, inedita, dei trentatré Quaderni dal Carcere, di Gramsci, dapprima, conservati dalla cognata Tatiana Schucht, e, poi, ripubblicati, nel 1975, dall’Istituto Gramsci, in una nuova versione critica.

Per non pochi colleghi stranieri, venire a Roma è stato, inoltre, un modo per tenere aperto un dialogo intellettuale attualmente a rischio. Ma ne usciamo pure con la percezione, anzi col vivo sentimento di una responsabilità storica nei riguardi della società italiana. In virtù della sua rilevanza anche pubblica, e non unicamente accademica, il Congresso di Roma ha permesso di restituire alla comunità nazionale una disciplina, la filosofia, che deve essere reintegrata nel corpo vitale della cultura e dell’economia italiane.

Ma esso è stato principalmente un momento di ragionamento condiviso, per l’intera sfera pubblica italiana, un esercizio di scambio reciproco, di cui tanto la filosofia, quanto la società italiana necessitano, sia per dare origine a durature strategie di sviluppo culturale, educativo, sociale, per il Paese, sia per ricomporre fratture e dissidi ideologici, frutto di società sempre più polarizzate.

Questo è stato lo spirito di fondo dell’appuntamento romano, del 2024, ovverosia certificarel’ineludibilità e l’irrinunciabilità della filosofia – tale da eccedere i propri limiti concettuali e geografici – per leggere e per interpretare il mondo in trasformazione, che, nel superamento di qualsivoglia elitismo escludente, non si appaga di ripetizioni e che, in forza di una produzione di pensiero, può concepire mondi possibili, non necessariamente utopistici; è stato questo l’avvenimento per lanciare un appello a tutte le formazioni della cultura, delle imprese, dell’economia, dei media, della scienza, dell’informazione, delle istituzioni, a tutti coloro che operano nello spazio pubblico, affinché si impegnino in un progetto comune, mediante le proprie conoscenze, le proprie competenze, le proprie esperienze, le proprie preoccupazioni, le proprie esigenze, nel fuoco della persuasione che la cultura – la quale va bensì pensata, ma pure vissuta – funga da collante per società libere ed individui emancipati. Sostenibilità, intelligenza artificiale, diversità e parità di genere, giustizia e democrazia, biodiversità, moda, propaganda e discorso pubblico: nessuna di queste dimensioni della vita sociale può essere compresa muovendo da un solo punto di vista; nessuna di esse ha veramente senso e valore se non nella prospettiva più generale del difficile riassetto, anche culturale, dell’ordine internazionale. Essere state affrontate unitamente a una molteplicità di voci e di figure, che agiscono nel contesto pubblico, italiano e non, è stato il compito che si era dato il Congresso di Roma e che è stato riaffermato con determinazione; e, con esso, il richiamo all’orizzonte globale, al pluralismo di culture, di religioni, di filosofie, che sono state rappresentate durante l’intera settimana del Congresso.

Congresso al quale sono stato convocato anche io, in qualità di relatore. Ed infatti, ho avuto l’onore, il privilegio e il piacere di partecipare con una lectio magistralis intitolata Verso un “superamento” del diritto? Diritto, capitalismo e volontà di potenza della tecnica, alla Sapienza, da cui provengo. Non è, peraltro, mai accaduto ad un filosofo della provincia di Salerno, né ad un esponente della cultura del Cilento – terra di Parmenide e sede della Scuola Eleatica – di intervenire, nella storia del Congresso Mondiale di Filosofia, a questo ultrasecolare evento di respiro internazionale, definito il “congresso dei congressi”.

Nella mia esposizione mi sono premurato preliminarmente di questionare sulla fine del diritto, sollevando gli interrogativi: perché si affollano analisi e profezie in riferimento alla sua mortalità? Qualcosa è avvenuto o sta avvenendo se la filosofia rivolge strenua attenzione alla dimensione giuridica e se i giuristi sono percorsi da una ansietà filosofica? Il mio contributo puntava, in primis, alla presentazione del fenomeno diritto in confronto ad altre forze della tradizione e della contemporaneità occidentali, con cui è in rapporto di inevitabile confine, ponendosi nelle vicende dell’esistenza e della coesistenza dell’uomo. Il diritto, incontrato filosoficamente, si mostra come la chiarificazione della sua imprescindibile appartenenza alla espansione originaria della dimensione dell’esistente. L’interesse si è indirizzato a delinearne i tratti costitutivi, fra cui la garanzia dell’esercizio della possibilità, della differenza, della soggettività, in vista di comprendere che esercizio del diritto ed esercizio della soggettività si identificano e tracciano un ambito centrale della condizione esistenziale di ciascuno. La dissertazione, poi, si è imperniata sull’ampliamentodella tecnica, da mezzo a scopo, come conseguenza della opzione a favore del divenire, effettuata dall’Occidente, distanziandosi dalla dottrina dell’Essere assoluto e della Verità immutabile; opzione da cui discendono i profili nichilistici della nostra civiltà. Ma la tecnica e il flusso del divenire avranno davvero l’ultima parola?

Prossimo appuntamento, in Giappone, a Tokio, nel 2028, in cui il tema sarà Per una filosofia mondiale pluralizzata, sulla base del radicale quesito: è possibile configurare una filosofia mondiale, se non intesa nelle sue pluralità e differenze o è possibile comprendere il mondo in movimento, facendo interagire e intersecare la tradizione con la innovazione concettuale? Come rammentava Gramsci, “occorre distruggere il pregiudizio, molto diffuso, che la filosofia sia un alcunché di molto difficile, per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinatacategoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici”.